Il flebile pulsare ritmico del suo cuore spezzò il nulla in cui era sprofondato. All'inizio fu meno che uno sbiadito tintinnio, ma mano a mano che i secondi scorrevano si faceva sempre più forte e accelerato.
Senza che avesse anche solo il tempo di chiedersi cosa stesse accadendo, i muscoli addominali si contrassero lasciando entrare nei polmoni una boccata d'aria. Mentre l'ossigeno tornava ad espandere il suo torace un dolore sferzante come di fuoco che bruciava ardentemente lungo l'albero respiratorio lo colse alla sprovvista facendogli stringere i denti. Emise un suono indistinto a metà tra un rantolo e un gemito prima di riuscire di nuovo a riprendere fiato.
Con cautela aprì gli occhi: era buio, ma da qualche parte filtrava luce sufficiente per riuscire a capire che la vista era annebbiata e c'erano macchie nel suo campo visivo.
Con uno sforzo doloroso cercò di girarsi sul ventre per potersi alzare, ma non fece in tempo neanche a fare un tentativo.
L'urlo gli scappò dalle labbra prima che potesse ricacciarlo in gola: senza preavviso e tutto in una volta le ossa spezzate del suo povero corpo cominciarono a scricchiolare e a tirare provocandogli spasmi di atroce sofferenza. Il suo cranio comincio a spingere verso l'esterno, come se all'interno si stesse accumulando una tremenda pressione, le estremità delle dita cominciarono a bruciargli come se fossero state immersi nell'acido mentre il letto ungueale si riempiva di sangue.
Annaspò cercando di riprendere fiato, si contorse nel tentativo di alleviare il dolore, ma fu tutto inutile: i suoi muscoli si contrassero e si strapparono, i sui tendini si stirarono fino allo spasmo, le sue viscere si attorcigliarono e distesero spasmodicamente.
Urlo, urlò con tutto il fiato che aveva e anche con quello che gli mancava e le sue grida gli risposero rimbalzando sulle pareti imbottite, unico suono nel buio della sua prigione di agonia.
Annabeth fissava in silenzio il soffitto, seduta a terra contro la parete di cemento.
Era da circa due ore che le urla continuavano incessanti arrivando alle sue orecchie attraverso la guardiola aperta.
Nessuno aveva più parlato, nonostante Sigmund non l'avesse lasciata un secondo.
Beatrix invece aveva fatto avanti e indietro dagli altri locali della casa: le aveva portato i vestiti asciutti, era andata a lavare quelli bagnati e aveva portato una tisana calda al miele all'ospite e al fratello.
Annabeth sentì la porta in cima alle scale chiudersi e poi il ticchettio dei tacchi della fanciulla scendere i gradini. Si era cambiata: indossava sempre abiti di foggia decisamente antica, ma ora al posto dell'ampia gonna ricamata portava un paio di più pratici pantaloni al ginocchio che si continuavano in un paio di calze bianche di seta e pizzo.
Si sedette sul gradino più alto e guardò verso la cella.
Aveva raccolto i morbidi boccoli in una coda bassa fermata non da un elastico ma da un elaborato fermaglio in avorio intarsiato finemente con un'elegante motivo floreale.
- Ha smesso di piovere.- annunciò spezzando il silenzio.
Sigmund parve non farci molto caso.
- Bene.- disse senza interesse.
La sorella sospirò con quell'aria di sufficienza che assumeva quando riteneva che gli altri non capissero cose lampanti.
-Quando il cucciolo avrà finito di mutare avrà fame.- osservò.
Annabeth annuì mordendosi il labbro; non ci aveva pensato. Nel corpo del ragazzo non era rimasto più sangue, in quelle condizioni, anche dopo la mutazione, sarebbe sopravvissuto per molto poco. Doveva occuparsi lei di nutrirlo.
Si alzò in piedi spolverando con colpi secchi i pantaloni che Beatrix le aveva prestato. Erano leggermente stretti e un pelo troppo corti per i suoi gusti, ma con gli stivali e un'ampia casacca sopra non si notava molto.
- Vado io, è un mio compito.- commentò - Vi devo pregare di sorvegliarlo fino al mio rientro.-
Sigmund si scostò dalla parete.
- Non conosci il quartiere, è meglio che uno di noi ti accompagni e che l'altro sorvegli il ragazzo.-
- Ti accompagnerò io.- si propose la bizzarra fanciulla prima che il fratello potesse farsi avanti - C'è un posto che tengo d'occhio da un po' e al contrario di Sigmund questa settimana non ho ancora avuto modo di pasteggiare in maniera adeguata-
Lui la guardò per qualche secondo incerto: di certo ora capiva il suo cambio d'abito e il suo interesse per il primo pasto del cucciolo, ma non era certo che fosse il caso di mandarla con Annabeth. Tuttavia era altrettanto vero che lui non aveva voglia di uscire.
- Sicura?- chiese lanciandole uno sguardo interrogativo.
- Ma certo.- rispose lei con un sorriso ambiguo.
- A te sta bene?- domandò allora rivolgendosi all'altra.
La risposta che la ragazza avrebbe voluto dare era "no". Avrebbe preferito andare da sola o con Sigmund, sapeva bene che Beatrix non nutriva buoni sentimenti nei suoi confronti. Si chiedeva che cosa avesse in mente di fare una volta lontana dallo sguardo e dalle orecchie di suo fratello e la curiosità fu tale da spingerla ad accettare.
- Sì, va bene.-
- Bene allora andiamo.-
Risalirono insieme le scale e tornarono nel salotto. Il fuoco crepitava ancora debolmente nel camino lanciando riflessi rossastri sugli antichi mobili che arredavano l'ambiente. Era incredibile come l'interno del palazzo stridesse con lo squallore del quartiere; dava quasi l'impressione che varcata la soglia si sprofondasse in un'epoca passata, come se il tempo si fosse cristallizzato preservando quell'angolo dallo scorrere degli anni.
Annabeth seguì Beatrix oltre la pesante porta d'ingresso.
Un forte vento aveva preso il posto della pioggia torrentizia, che si era abbattuta al suolo per tutto il giorno, e ora si faceva spazio tra i palazzi fatiscenti fischiando e ululando.
La ragazza storse il naso; ora che l'acqua non li tratteneva più a terra gli sgradevoli odori tornavano a salire prepotentemente dal terreno, addirittura esacerbati dall'umidità che esaltava il fetore di putrido e marcescente.
Beatrix non pareva particolarmente infastidita, con un cenno del capo fece segno all'altra di seguirla attraverso gli stretti vicoli della periferia.
Siccome non accennava a voler intavolare una conversazione, Annabeth decise di abbracciare quella filosofia e proseguire in silenzio. Questo almeno le diede modo di guardarsi bene intorno; quel pizzicorino che sentiva sulla nuca era ricomparso non appena varcata la soglia della casa, ma i suoi occhi, seppur ben allenati e facilitati dalla mancanza della pioggia, non riuscivano a scorgere il benché minimo movimento oltre i grandi occhi vuoti dei palazzi o suoi tetti spogli.
Fortunatamente quella sgradevole sensazione andò velocemente scemando fino a scomparire mano a mano che dai grandi edifici malridotti passarono a squallide case e baracche in legno e lamiera. Le strade erano più larghe e più dissestate, ai loro lati la terra nuda offriva nutrimento ad arbusti selvatici e rari alberi contorti. Il fetore di sudicio e marcio era sparito lasciando il suo posto all'odore di terra e benzina.
Fu a quel punto che Beatrix si fermò.
- Siamo arrivati?- chiese Annabeth guardandosi intorno perplessa.
- Non dovresti metterti contro la Comunità.-
Lei si irrigidì.
- È una minaccia?-
- No, un consiglio. Qui siamo fuori dal territorio della comunità, non hanno né occhi né orecchie che ci possano spiare.-
Annabeth la osservò sospettosa.
- Stai cercando di fregarmi?- chiese guardinga.
L'altra sospirò e intrecciò le mani dietro la schiena. I suoi grandi occhi indagatori si fissarono dentro quelli della ragazza.
- Non ti sto ingannando, ma cercando di portarti dalla mia parte. Ci sono molte cose che oscure che la la Comunità sta nascondendo, fili sottili che sta muovendo per farci ballare come marionette.-
- Pensavo tu fossi una leale sostenitrice della Comunità, perché mi stai dicendo questo?-
Sul suo volto passò un'ombra di malinconia e i suoi grandi e bellissimo occhi corsero a scrutare il cielo.
- Sono accadute molte cose e alcune hanno avuto un forte impatto sulla mia tranquilla esistenza. La scomparsa di Lady Astrid è stato l'ultimo di questi eventi e ha toccato molte vite, in primis quella di mio fratello che nonostante i loro trascorsi gli era ancora profondamente legato. Ma anche per me non è stato facile accettare la sua sparizione, Sigmund e Lady Astrid furono per me come dei genitori.- il suo sguardo torno a incrociare quello di Annabeth - Queste e altre cose hanno spezzato il vincolo che mi legava alla Comunità. Ora ho bisogno di trovare delle risposte, risposte a domande che non possono essere poste. Per questo ho bisogno del tuo aiuto e te lo sto chiedendo ora.-
- Sigmund sa di questo?-
- Naturalmente, non potrei mai avere dei segreti con mio fratello.- rispose pacata.
- Perché non è stato lui a parlarmene allora?-
- Perché lui ti vuole bene. Sarò sincera, tu sei un pericolo, Annabeth. L'odio e il rancore ti bruciano dentro e mettono a repentaglio la tua vita e quella di chi ti sta intorno. Sei troppo impulsiva, troppo sincera e continui ad attaccare direttamente la comunità rischiando di farti giustiziare. Esistono altri modi e io sono disposta a insegnarti. Sii mia alleata e tu otterrai la tua vendetta e io le miei risposte .-
Annabeth fissò a lungo la sua interlocutrice cercando di scovare in quel visino di porcellana un qualche indizio delle sue reali intenzioni. Purtroppo il suo sforzo risultò vano.
- Chi mi dice che non stai cercando di incastrarmi?- chiese prudente.
- Nessuno.- rispose l'altra con un sospiro - Ma comprendo la tua esigenza di una dimostrazione della mia buona fede; quando andrai al Municipio a registrare il cucciolo guarda sul muro dei condannati, anno 1943. Poi discuteremo il da farsi.-
Ciò detto, senza aspettare una replica da parte di Annabeth, si rimise in marcia.
Il quartiere era buio e silenzioso, si udiva solo lo sporadico latrato di qualche cane o i miagolii furiosi di gatti che si azzuffavano nella notte.
Solo quando imboccarono una via sulla desta scorsero, attraverso il nylon con cui era stata chiusa la finestra, una fioca luce proveniente da un garage in lamiera. Le voci di due uomini trapelavano attraverso la malconcia struttura, insulti e risate sgraziate.
Beatrix fece cenno ad Annabeth di seguirla. Costeggiò il muro della casa accanto allo sgangherato garage, fino ad arrivare a un punto in cui si trovavano un paio di bidoni blu di plastica. Con un'agile balzo la fanciulla saltò prima su uno dei bidoni e poi sul tetto e l'altra la seguì subito dopo. Camminarono sulle tegole instabili fino al ciglio del tetto che sporgeva proprio sopra al garage nel punto in cui di aprivano due lucernari improvvisati.
Beatrix fece cenno di abbassarsi e le due ragazze si sdraiarono sul tetto.
- Li tengo d'occhio da un po'. Sono due incalliti criminali di quartiere, nessuno sentirà la loro mancanza.-
L'altra si morse il labbro con fare pensieroso.
All'interno della rimessa c'erano due uomini tatuati. Il primo, che dava l'impressione di essere il capo, indossava una camicia bianca e stava pulendo una grossa pistola vantandosi a gran voce di un qualche colpo che aveva fatto recentemente, mentre il più grosso mostrava la sua approvazione con grugniti e risate sguaiate oliando la catena di una grossa moto da corsa e versandosi metà dell'olio sulla canottiera piena di macchie di unto e grasso.
- Sono cugini.- continuò Beatrix - Quello armato crede di essere un temuto gangster, ma non è che un piccolo boss di quartiere. L'altro è il suo braccio destro, tanto grosso quanto stupido, perdona il cliché, suo cugino non gli fa neanche portare un'arma per paura che ammazzi se stesso o qualcuno accanto a lui.-
- Direi che quello grosso fa proprio a caso del mio cucciolo.- commentò.
- Bene.- approvò l'altra - Qual è la tua strategia?-
- Sarebbe meglio se glie lo portassi vivo con un cuore pulsante che pompa il sangue fuori dal corpo, ma credo che la sua morale da sapiens potrebbe ostacolarlo. Penso che gli spezzerò il collo, sarà più semplice per lui farsene una ragione, e poiavrà così fame da non avere grossi problemi a dissanguarlo anche da morto.- rispose Annabeth pensierosa.
Beatrix sorrise compiaciuta.
- Ottimo, allora io prendo quello armato e ce lo dividiamo.-
Con attenzione scesero dal tetto e si avvicinarono alla porta del garage. Prima di bussare si scambiarono uno sguardo d'intesa e Beatrix si strinse ad Annabeth assumendo un'espressione spaventata. Anche la ragazza si sforzo di apparire agitata, prese un bel respiro e busso con forza alla porta di lamiera.
All'interno calò il silenzio.
Una sedia scricchiolò in maniera quasi impercettibile e dei passi si avvicinarono con circospezione.
La porta si aprì stridendo con forza nello strusciare sul pavimento in cemento e un uomo con la pelle troppo abbronzata e i capelli scuri sparati in alto si affacciò sulla soglia. Aveva l'espressione di qualcuno che si aspetta di trovare guai ad attenderlo, ma il suo volto cambiò subito quando vide le due ragazze; una sorta di ghigno compiaciuto si aprì sul suo volto.
- Buona sera, belle fanciulle, che posso fare per voi?- chiese ammiccante.
Annabeth si stupì del fatto che fosse in grado di pronunciare una frase del genere.
- Mi scusi, io e la mia sorellina ci siamo perse e abbiamo visto la luce accesa...non volevamo disturbare...ma non sapevamo a chi rivolgersi a quest'ora...non sapreste dirci come arrivare in città?- domandò con voce esitante.
Probabilmente l'uomo penso che Natale quell'anno fosse arrivato in anticipo.
- Ma certo, venite, venite, dovrei avere una mappa stradale proprio nel cassetto del bancone.-
Le due ragazze entrarono farfugliando un paio di frasi di riconoscenza; all'interno il puzzo di benzina, olio da motore e vernice era così forte da far bruciare il naso e si accompagnava a un odore meno intenso di birra e polvere da sparo.
- Ehi, cugino, saluta le signorine, non fare il cafone.- commentò ghignando.
Fu allora che le due ragazze tornarono al loro solito atteggiamento.
- Che mancanza di classe.- commendò Beatrix prima di scattare verso l'uomo armato.
Prima che quello potesse anche accennare a reagire gli fu alle spalle e gli piantò i lunghi canini nel collo, affondando in profondità. L'uomo non riuscì a lottare, ebbe appena uno spasmo quando i denti della fanciulla lacerarono la carne, ma poi i suoi muscoli si distesero e lui si abbandonò alla morte con un'espressione beata sul volto.
Il cugino si alzò di scatto rovesciando la sedia su cui sedeva, ma era riuscito a fare appena un paio di passi quando Annabeth gli fu addosso. Lo afferrò con una presa al collo e con un gesto secco e preciso spezzò le vertebre di quell'uomo grande e grosso con se fossero grissini.
- Portarsi gente morta sulle spalle è un buon esercizio, ma direi che con oggi ho dato per tutta la settimana.-
Si sedette sul bancone aspettando il suo turno per cenare. Non ci volle molto.
- Ecco a te.- disse Beatrix.
Annabeth saltò giù dal tavolo.
- Come facciamo per questo casino?- chiese.
- Lascia fare a me.-
Le ragazze si scambiarono il posto e Annabeth poté affondare i denti nel collo dell'uomo.
Il sangue caldo le schizzò in bocca e le scese giù per la gola: era un'altra cosa rispetto alle sacche da trasfusioni che si era costretti a portarsi appresso durante i viaggi. Quelle sapevano di anticoagulante e di stantio, mentre quello era fresco, vivo, pompato fuori dal corpo da un cuore ancora pulsante.
Per un attimo si estraniò completamente dal mondo intorno a lei, il tempo necessario per dissanguare il corpo esanime dell'uomo. Solo allora si leccò le labbra e si guardò attorno per vedere cosa stesse facendo la sua compagna.
Beatrix se ne stava con le dita intrecciate dietro la schiena a fissare lo scaffale sul fondo del garage stipato di taniche rosse.
- Sembrerà un incidente...e comunque nessuno farà troppe domande.- disse.
Le ragazze rovesciarono la scaffalatura versandoci abbondante benzina sopra, poi vi lasciarono il corpo a fianco.
Annabeth si caricò il corpo dell'altro uomo sulle spalle e uscì all'aria aperta. Finalmente riuscì a respirare di nuovo senza sentire il naso bruciare come si vi fosse entrato del fuoco.
Beatrix varcò la porta subito dopo di lei; aveva preso la pistola appena del morto e l'aveva caricata con cura. Mirò con precisione all'intelaiatura in ferro dello scaffale e sparò; la scintilla provocata dal proiettile che colpiva il metallo fece divampare l'incendio.
La fanciulla lanciò la pistola all'interno e chiuse la porta.
Alte fiamme rosse, arancioni e blu si alzarono dal garage insieme all'odore di gomma e lamiere bruciate. Poi il primo scoppio fece saltare il tetto aumentando il vigore delle fiamme.
Gli occhi di Beatrix rilucevano di riflessi rossi e oro.
- Andiamo.- disse - Ormai avrà quasi finito.-
Il flebile pulsare ritmico del suo cuore spezzò il nulla in cui era sprofondato. All'inizio fu meno che uno sbiadito tintinnio, ma mano a mano che i secondi scorrevano si faceva sempre più forte e accelerato.
Senza che avesse anche solo il tempo di chiedersi cosa stesse accadendo, i muscoli addominali si contrassero lasciando entrare nei polmoni una boccata d'aria. Mentre l'ossigeno tornava ad espandere il suo torace un dolore sferzante come di fuoco che bruciava ardentemente lungo l'albero respiratorio lo colse alla sprovvista facendogli stringere i denti. Emise un suono indistinto a metà tra un rantolo e un gemito prima di riuscire di nuovo a riprendere fiato.
Con cautela aprì gli occhi: era buio, ma da qualche parte filtrava luce sufficiente per riuscire a capire che la vista era annebbiata e c'erano macchie nel suo campo visivo.
Con uno sforzo doloroso cercò di girarsi sul ventre per potersi alzare, ma non fece in tempo neanche a fare un tentativo.
L'urlo gli scappò dalle labbra prima che potesse ricacciarlo in gola: senza preavviso e tutto in una volta le ossa spezzate del suo povero corpo cominciarono a scricchiolare e a tirare provocandogli spasmi di atroce sofferenza. Il suo cranio comincio a spingere verso l'esterno, come se all'interno si stesse accumulando una tremenda pressione, le estremità delle dita cominciarono a bruciargli come se fossero state immersi nell'acido mentre il letto ungueale si riempiva di sangue.
Annaspò cercando di riprendere fiato, si contorse nel tentativo di alleviare il dolore, ma fu tutto inutile: i suoi muscoli si contrassero e si strapparono, i sui tendini si stirarono fino allo spasmo, le sue viscere si attorcigliarono e distesero spasmodicamente.
Urlo, urlò con tutto il fiato che aveva e anche con quello che gli mancava e le sue grida gli risposero rimbalzando sulle pareti imbottite, unico suono nel buio della sua prigione di agonia.
Annabeth fissava in silenzio il soffitto, seduta a terra contro la parete di cemento.
Era da circa due ore che le urla continuavano incessanti arrivando alle sue orecchie attraverso la guardiola aperta.
Nessuno aveva più parlato, nonostante Sigmund non l'avesse lasciata un secondo.
Beatrix invece aveva fatto avanti e indietro dagli altri locali della casa: le aveva portato i vestiti asciutti, era andata a lavare quelli bagnati e aveva portato una tisana calda al miele all'ospite e al fratello.
Annabeth sentì la porta in cima alle scale chiudersi e poi il ticchettio dei tacchi della fanciulla scendere i gradini. Si era cambiata: indossava sempre abiti di foggia decisamente antica, ma ora al posto dell'ampia gonna ricamata portava un paio di più pratici pantaloni al ginocchio che si continuavano in un paio di calze bianche di seta e pizzo.
Si sedette sul gradino più alto e guardò verso la cella.
Aveva raccolto i morbidi boccoli in una coda bassa fermata non da un elastico ma da un elaborato fermaglio in avorio intarsiato finemente con un'elegante motivo floreale.
- Ha smesso di piovere.- annunciò spezzando il silenzio.
Sigmund parve non farci molto caso.
- Bene.- disse senza interesse.
La sorella sospirò con quell'aria di sufficienza che assumeva quando riteneva che gli altri non capissero cose lampanti.
-Quando il cucciolo avrà finito di mutare avrà fame.- osservò.
Annabeth annuì mordendosi il labbro; non ci aveva pensato. Nel corpo del ragazzo non era rimasto più sangue, in quelle condizioni, anche dopo la mutazione, sarebbe sopravvissuto per molto poco. Doveva occuparsi lei di nutrirlo.
Si alzò in piedi spolverando con colpi secchi i pantaloni che Beatrix le aveva prestato. Erano leggermente stretti e un pelo troppo corti per i suoi gusti, ma con gli stivali e un'ampia casacca sopra non si notava molto.
- Vado io, è un mio compito.- commentò - Vi devo pregare di sorvegliarlo fino al mio rientro.-
Sigmund si scostò dalla parete.
- Non conosci il quartiere, è meglio che uno di noi ti accompagni e che l'altro sorvegli il ragazzo.-
- Ti accompagnerò io.- si propose la bizzarra fanciulla prima che il fratello potesse farsi avanti - C'è un posto che tengo d'occhio da un po' e al contrario di Sigmund questa settimana non ho ancora avuto modo di pasteggiare in maniera adeguata-
Lui la guardò per qualche secondo incerto: di certo ora capiva il suo cambio d'abito e il suo interesse per il primo pasto del cucciolo, ma non era certo che fosse il caso di mandarla con Annabeth. Tuttavia era altrettanto vero che lui non aveva voglia di uscire.
- Sicura?- chiese lanciandole uno sguardo interrogativo.
- Ma certo.- rispose lei con un sorriso ambiguo.
- A te sta bene?- domandò allora rivolgendosi all'altra.
La risposta che la ragazza avrebbe voluto dare era "no". Avrebbe preferito andare da sola o con Sigmund, sapeva bene che Beatrix non nutriva buoni sentimenti nei suoi confronti. Si chiedeva che cosa avesse in mente di fare una volta lontana dallo sguardo e dalle orecchie di suo fratello e la curiosità fu tale da spingerla ad accettare.
- Sì, va bene.-
- Bene allora andiamo.-
Risalirono insieme le scale e tornarono nel salotto. Il fuoco crepitava ancora debolmente nel camino lanciando riflessi rossastri sugli antichi mobili che arredavano l'ambiente. Era incredibile come l'interno del palazzo stridesse con lo squallore del quartiere; dava quasi l'impressione che varcata la soglia si sprofondasse in un'epoca passata, come se il tempo si fosse cristallizzato preservando quell'angolo dallo scorrere degli anni.
Annabeth seguì Beatrix oltre la pesante porta d'ingresso.
Un forte vento aveva preso il posto della pioggia torrentizia, che si era abbattuta al suolo per tutto il giorno, e ora si faceva spazio tra i palazzi fatiscenti fischiando e ululando.
La ragazza storse il naso; ora che l'acqua non li tratteneva più a terra gli sgradevoli odori tornavano a salire prepotentemente dal terreno, addirittura esacerbati dall'umidità che esaltava il fetore di putrido e marcescente.
Beatrix non pareva particolarmente infastidita, con un cenno del capo fece segno all'altra di seguirla attraverso gli stretti vicoli della periferia.
Siccome non accennava a voler intavolare una conversazione, Annabeth decise di abbracciare quella filosofia e proseguire in silenzio. Questo almeno le diede modo di guardarsi bene intorno; quel pizzicorino che sentiva sulla nuca era ricomparso non appena varcata la soglia della casa, ma i suoi occhi, seppur ben allenati e facilitati dalla mancanza della pioggia, non riuscivano a scorgere il benché minimo movimento oltre i grandi occhi vuoti dei palazzi o suoi tetti spogli.
Fortunatamente quella sgradevole sensazione andò velocemente scemando fino a scomparire mano a mano che dai grandi edifici malridotti passarono a squallide case e baracche in legno e lamiera. Le strade erano più larghe e più dissestate, ai loro lati la terra nuda offriva nutrimento ad arbusti selvatici e rari alberi contorti. Il fetore di sudicio e marcio era sparito lasciando il suo posto all'odore di terra e benzina.
Fu a quel punto che Beatrix si fermò.
- Siamo arrivati?- chiese Annabeth guardandosi intorno perplessa.
- Non dovresti metterti contro la Comunità.-
Lei si irrigidì.
- È una minaccia?-
- No, un consiglio. Qui siamo fuori dal territorio della comunità, non hanno né occhi né orecchie che ci possano spiare.-
Annabeth la osservò sospettosa.
- Stai cercando di fregarmi?- chiese guardinga.
L'altra sospirò e intrecciò le mani dietro la schiena. I suoi grandi occhi indagatori si fissarono dentro quelli della ragazza.
- Non ti sto ingannando, ma cercando di portarti dalla mia parte. Ci sono molte cose che oscure che la la Comunità sta nascondendo, fili sottili che sta muovendo per farci ballare come marionette.-
- Pensavo tu fossi una leale sostenitrice della Comunità, perché mi stai dicendo questo?-
Sul suo volto passò un'ombra di malinconia e i suoi grandi e bellissimo occhi corsero a scrutare il cielo.
- Sono accadute molte cose e alcune hanno avuto un forte impatto sulla mia tranquilla esistenza. La scomparsa di Lady Astrid è stato l'ultimo di questi eventi e ha toccato molte vite, in primis quella di mio fratello che nonostante i loro trascorsi gli era ancora profondamente legato. Ma anche per me non è stato facile accettare la sua sparizione, Sigmund e Lady Astrid furono per me come dei genitori.- il suo sguardo torno a incrociare quello di Annabeth - Queste e altre cose hanno spezzato il vincolo che mi legava alla Comunità. Ora ho bisogno di trovare delle risposte, risposte a domande che non possono essere poste. Per questo ho bisogno del tuo aiuto e te lo sto chiedendo ora.-
- Sigmund sa di questo?-
- Naturalmente, non potrei mai avere dei segreti con mio fratello.- rispose pacata.
- Perché non è stato lui a parlarmene allora?-
- Perché lui ti vuole bene. Sarò sincera, tu sei un pericolo, Annabeth. L'odio e il rancore ti bruciano dentro e mettono a repentaglio la tua vita e quella di chi ti sta intorno. Sei troppo impulsiva, troppo sincera e continui ad attaccare direttamente la comunità rischiando di farti giustiziare. Esistono altri modi e io sono disposta a insegnarti. Sii mia alleata e tu otterrai la tua vendetta e io le miei risposte .-
Annabeth fissò a lungo la sua interlocutrice cercando di scovare in quel visino di porcellana un qualche indizio delle sue reali intenzioni. Purtroppo il suo sforzo risultò vano.
- Chi mi dice che non stai cercando di incastrarmi?- chiese prudente.
- Nessuno.- rispose l'altra con un sospiro - Ma comprendo la tua esigenza di una dimostrazione della mia buona fede; quando andrai al Municipio a registrare il cucciolo guarda sul muro dei condannati, anno 1943. Poi discuteremo il da farsi.-
Ciò detto, senza aspettare una replica da parte di Annabeth, si rimise in marcia.
Il quartiere era buio e silenzioso, si udiva solo lo sporadico latrato di qualche cane o i miagolii furiosi di gatti che si azzuffavano nella notte.
Solo quando imboccarono una via sulla desta scorsero, attraverso il nylon con cui era stata chiusa la finestra, una fioca luce proveniente da un garage in lamiera. Le voci di due uomini trapelavano attraverso la malconcia struttura, insulti e risate sgraziate.
Beatrix fece cenno ad Annabeth di seguirla. Costeggiò il muro della casa accanto allo sgangherato garage, fino ad arrivare a un punto in cui si trovavano un paio di bidoni blu di plastica. Con un'agile balzo la fanciulla saltò prima su uno dei bidoni e poi sul tetto e l'altra la seguì subito dopo. Camminarono sulle tegole instabili fino al ciglio del tetto che sporgeva proprio sopra al garage nel punto in cui di aprivano due lucernari improvvisati.
Beatrix fece cenno di abbassarsi e le due ragazze si sdraiarono sul tetto.
- Li tengo d'occhio da un po'. Sono due incalliti criminali di quartiere, nessuno sentirà la loro mancanza.-
L'altra si morse il labbro con fare pensieroso.
All'interno della rimessa c'erano due uomini tatuati. Il primo, che dava l'impressione di essere il capo, indossava una camicia bianca e stava pulendo una grossa pistola vantandosi a gran voce di un qualche colpo che aveva fatto recentemente, mentre il più grosso mostrava la sua approvazione con grugniti e risate sguaiate oliando la catena di una grossa moto da corsa e versandosi metà dell'olio sulla canottiera piena di macchie di unto e grasso.
- Sono cugini.- continuò Beatrix - Quello armato crede di essere un temuto gangster, ma non è che un piccolo boss di quartiere. L'altro è il suo braccio destro, tanto grosso quanto stupido, perdona il cliché, suo cugino non gli fa neanche portare un'arma per paura che ammazzi se stesso o qualcuno accanto a lui.-
- Direi che quello grosso fa proprio a caso del mio cucciolo.- commentò.
- Bene.- approvò l'altra - Qual è la tua strategia?-
- Sarebbe meglio se glie lo portassi vivo con un cuore pulsante che pompa il sangue fuori dal corpo, ma credo che la sua morale da sapiens potrebbe ostacolarlo. Penso che gli spezzerò il collo, sarà più semplice per lui farsene una ragione, e poiavrà così fame da non avere grossi problemi a dissanguarlo anche da morto.- rispose Annabeth pensierosa.
Beatrix sorrise compiaciuta.
- Ottimo, allora io prendo quello armato e ce lo dividiamo.-
Con attenzione scesero dal tetto e si avvicinarono alla porta del garage. Prima di bussare si scambiarono uno sguardo d'intesa e Beatrix si strinse ad Annabeth assumendo un'espressione spaventata. Anche la ragazza si sforzo di apparire agitata, prese un bel respiro e busso con forza alla porta di lamiera.
All'interno calò il silenzio.
Una sedia scricchiolò in maniera quasi impercettibile e dei passi si avvicinarono con circospezione.
La porta si aprì stridendo con forza nello strusciare sul pavimento in cemento e un uomo con la pelle troppo abbronzata e i capelli scuri sparati in alto si affacciò sulla soglia. Aveva l'espressione di qualcuno che si aspetta di trovare guai ad attenderlo, ma il suo volto cambiò subito quando vide le due ragazze; una sorta di ghigno compiaciuto si aprì sul suo volto.
- Buona sera, belle fanciulle, che posso fare per voi?- chiese ammiccante.
Annabeth si stupì del fatto che fosse in grado di pronunciare una frase del genere.
- Mi scusi, io e la mia sorellina ci siamo perse e abbiamo visto la luce accesa...non volevamo disturbare...ma non sapevamo a chi rivolgersi a quest'ora...non sapreste dirci come arrivare in città?- domandò con voce esitante.
Probabilmente l'uomo penso che Natale quell'anno fosse arrivato in anticipo.
- Ma certo, venite, venite, dovrei avere una mappa stradale proprio nel cassetto del bancone.-
Le due ragazze entrarono farfugliando un paio di frasi di riconoscenza; all'interno il puzzo di benzina, olio da motore e vernice era così forte da far bruciare il naso e si accompagnava a un odore meno intenso di birra e polvere da sparo.
- Ehi, cugino, saluta le signorine, non fare il cafone.- commentò ghignando.
Fu allora che le due ragazze tornarono al loro solito atteggiamento.
- Che mancanza di classe.- commendò Beatrix prima di scattare verso l'uomo armato.
Prima che quello potesse anche accennare a reagire gli fu alle spalle e gli piantò i lunghi canini nel collo, affondando in profondità. L'uomo non riuscì a lottare, ebbe appena uno spasmo quando i denti della fanciulla lacerarono la carne, ma poi i suoi muscoli si distesero e lui si abbandonò alla morte con un'espressione beata sul volto.
Il cugino si alzò di scatto rovesciando la sedia su cui sedeva, ma era riuscito a fare appena un paio di passi quando Annabeth gli fu addosso. Lo afferrò con una presa al collo e con un gesto secco e preciso spezzò le vertebre di quell'uomo grande e grosso con se fossero grissini.
- Portarsi gente morta sulle spalle è un buon esercizio, ma direi che con oggi ho dato per tutta la settimana.-
Si sedette sul bancone aspettando il suo turno per cenare. Non ci volle molto.
- Ecco a te.- disse Beatrix.
Annabeth saltò giù dal tavolo.
- Come facciamo per questo casino?- chiese.
- Lascia fare a me.-
Le ragazze si scambiarono il posto e Annabeth poté affondare i denti nel collo dell'uomo.
Il sangue caldo le schizzò in bocca e le scese giù per la gola: era un'altra cosa rispetto alle sacche da trasfusioni che si era costretti a portarsi appresso durante i viaggi. Quelle sapevano di anticoagulante e di stantio, mentre quello era fresco, vivo, pompato fuori dal corpo da un cuore ancora pulsante.
Per un attimo si estraniò completamente dal mondo intorno a lei, il tempo necessario per dissanguare il corpo esanime dell'uomo. Solo allora si leccò le labbra e si guardò attorno per vedere cosa stesse facendo la sua compagna.
Beatrix se ne stava con le dita intrecciate dietro la schiena a fissare lo scaffale sul fondo del garage stipato di taniche rosse.
- Sembrerà un incidente...e comunque nessuno farà troppe domande.- disse.
Le ragazze rovesciarono la scaffalatura versandoci abbondante benzina sopra, poi vi lasciarono il corpo a fianco.
Annabeth si caricò il corpo dell'altro uomo sulle spalle e uscì all'aria aperta. Finalmente riuscì a respirare di nuovo senza sentire il naso bruciare come si vi fosse entrato del fuoco.
Beatrix varcò la porta subito dopo di lei; aveva preso la pistola appena del morto e l'aveva caricata con cura. Mirò con precisione all'intelaiatura in ferro dello scaffale e sparò; la scintilla provocata dal proiettile che colpiva il metallo fece divampare l'incendio.
La fanciulla lanciò la pistola all'interno e chiuse la porta.
Alte fiamme rosse, arancioni e blu si alzarono dal garage insieme all'odore di gomma e lamiere bruciate. Poi il primo scoppio fece saltare il tetto aumentando il vigore delle fiamme.
Gli occhi di Beatrix rilucevano di riflessi rossi e oro.
- Andiamo.- disse - Ormai avrà quasi finito.-
Era da circa due ore che le urla continuavano incessanti arrivando alle sue orecchie attraverso la guardiola aperta.
Nessuno aveva più parlato, nonostante Sigmund non l'avesse lasciata un secondo.
Beatrix invece aveva fatto avanti e indietro dagli altri locali della casa: le aveva portato i vestiti asciutti, era andata a lavare quelli bagnati e aveva portato una tisana calda al miele all'ospite e al fratello.
Annabeth sentì la porta in cima alle scale chiudersi e poi il ticchettio dei tacchi della fanciulla scendere i gradini. Si era cambiata: indossava sempre abiti di foggia decisamente antica, ma ora al posto dell'ampia gonna ricamata portava un paio di più pratici pantaloni al ginocchio che si continuavano in un paio di calze bianche di seta e pizzo.
Si sedette sul gradino più alto e guardò verso la cella.
Aveva raccolto i morbidi boccoli in una coda bassa fermata non da un elastico ma da un elaborato fermaglio in avorio intarsiato finemente con un'elegante motivo floreale.
- Ha smesso di piovere.- annunciò spezzando il silenzio.
Sigmund parve non farci molto caso.
- Bene.- disse senza interesse.
La sorella sospirò con quell'aria di sufficienza che assumeva quando riteneva che gli altri non capissero cose lampanti.
-Quando il cucciolo avrà finito di mutare avrà fame.- osservò.
Annabeth annuì mordendosi il labbro; non ci aveva pensato. Nel corpo del ragazzo non era rimasto più sangue, in quelle condizioni, anche dopo la mutazione, sarebbe sopravvissuto per molto poco. Doveva occuparsi lei di nutrirlo.
Si alzò in piedi spolverando con colpi secchi i pantaloni che Beatrix le aveva prestato. Erano leggermente stretti e un pelo troppo corti per i suoi gusti, ma con gli stivali e un'ampia casacca sopra non si notava molto.
- Vado io, è un mio compito.- commentò - Vi devo pregare di sorvegliarlo fino al mio rientro.-
Sigmund si scostò dalla parete.
- Non conosci il quartiere, è meglio che uno di noi ti accompagni e che l'altro sorvegli il ragazzo.-
- Ti accompagnerò io.- si propose la bizzarra fanciulla prima che il fratello potesse farsi avanti - C'è un posto che tengo d'occhio da un po' e al contrario di Sigmund questa settimana non ho ancora avuto modo di pasteggiare in maniera adeguata-
Lui la guardò per qualche secondo incerto: di certo ora capiva il suo cambio d'abito e il suo interesse per il primo pasto del cucciolo, ma non era certo che fosse il caso di mandarla con Annabeth. Tuttavia era altrettanto vero che lui non aveva voglia di uscire.
- Sicura?- chiese lanciandole uno sguardo interrogativo.
- Ma certo.- rispose lei con un sorriso ambiguo.
- A te sta bene?- domandò allora rivolgendosi all'altra.
La risposta che la ragazza avrebbe voluto dare era "no". Avrebbe preferito andare da sola o con Sigmund, sapeva bene che Beatrix non nutriva buoni sentimenti nei suoi confronti. Si chiedeva che cosa avesse in mente di fare una volta lontana dallo sguardo e dalle orecchie di suo fratello e la curiosità fu tale da spingerla ad accettare.
- Sì, va bene.-
- Bene allora andiamo.-
Risalirono insieme le scale e tornarono nel salotto. Il fuoco crepitava ancora debolmente nel camino lanciando riflessi rossastri sugli antichi mobili che arredavano l'ambiente. Era incredibile come l'interno del palazzo stridesse con lo squallore del quartiere; dava quasi l'impressione che varcata la soglia si sprofondasse in un'epoca passata, come se il tempo si fosse cristallizzato preservando quell'angolo dallo scorrere degli anni.
Annabeth seguì Beatrix oltre la pesante porta d'ingresso.
Un forte vento aveva preso il posto della pioggia torrentizia, che si era abbattuta al suolo per tutto il giorno, e ora si faceva spazio tra i palazzi fatiscenti fischiando e ululando.
La ragazza storse il naso; ora che l'acqua non li tratteneva più a terra gli sgradevoli odori tornavano a salire prepotentemente dal terreno, addirittura esacerbati dall'umidità che esaltava il fetore di putrido e marcescente.
Beatrix non pareva particolarmente infastidita, con un cenno del capo fece segno all'altra di seguirla attraverso gli stretti vicoli della periferia.
Siccome non accennava a voler intavolare una conversazione, Annabeth decise di abbracciare quella filosofia e proseguire in silenzio. Questo almeno le diede modo di guardarsi bene intorno; quel pizzicorino che sentiva sulla nuca era ricomparso non appena varcata la soglia della casa, ma i suoi occhi, seppur ben allenati e facilitati dalla mancanza della pioggia, non riuscivano a scorgere il benché minimo movimento oltre i grandi occhi vuoti dei palazzi o suoi tetti spogli.
Fortunatamente quella sgradevole sensazione andò velocemente scemando fino a scomparire mano a mano che dai grandi edifici malridotti passarono a squallide case e baracche in legno e lamiera. Le strade erano più larghe e più dissestate, ai loro lati la terra nuda offriva nutrimento ad arbusti selvatici e rari alberi contorti. Il fetore di sudicio e marcio era sparito lasciando il suo posto all'odore di terra e benzina.
Fu a quel punto che Beatrix si fermò.
- Siamo arrivati?- chiese Annabeth guardandosi intorno perplessa.
- Non dovresti metterti contro la Comunità.-
Lei si irrigidì.
- È una minaccia?-
- No, un consiglio. Qui siamo fuori dal territorio della comunità, non hanno né occhi né orecchie che ci possano spiare.-
Annabeth la osservò sospettosa.
- Stai cercando di fregarmi?- chiese guardinga.
L'altra sospirò e intrecciò le mani dietro la schiena. I suoi grandi occhi indagatori si fissarono dentro quelli della ragazza.
- Non ti sto ingannando, ma cercando di portarti dalla mia parte. Ci sono molte cose che oscure che la la Comunità sta nascondendo, fili sottili che sta muovendo per farci ballare come marionette.-
- Pensavo tu fossi una leale sostenitrice della Comunità, perché mi stai dicendo questo?-
Sul suo volto passò un'ombra di malinconia e i suoi grandi e bellissimo occhi corsero a scrutare il cielo.
- Sono accadute molte cose e alcune hanno avuto un forte impatto sulla mia tranquilla esistenza. La scomparsa di Lady Astrid è stato l'ultimo di questi eventi e ha toccato molte vite, in primis quella di mio fratello che nonostante i loro trascorsi gli era ancora profondamente legato. Ma anche per me non è stato facile accettare la sua sparizione, Sigmund e Lady Astrid furono per me come dei genitori.- il suo sguardo torno a incrociare quello di Annabeth - Queste e altre cose hanno spezzato il vincolo che mi legava alla Comunità. Ora ho bisogno di trovare delle risposte, risposte a domande che non possono essere poste. Per questo ho bisogno del tuo aiuto e te lo sto chiedendo ora.-
- Sigmund sa di questo?-
- Naturalmente, non potrei mai avere dei segreti con mio fratello.- rispose pacata.
- Perché non è stato lui a parlarmene allora?-
- Perché lui ti vuole bene. Sarò sincera, tu sei un pericolo, Annabeth. L'odio e il rancore ti bruciano dentro e mettono a repentaglio la tua vita e quella di chi ti sta intorno. Sei troppo impulsiva, troppo sincera e continui ad attaccare direttamente la comunità rischiando di farti giustiziare. Esistono altri modi e io sono disposta a insegnarti. Sii mia alleata e tu otterrai la tua vendetta e io le miei risposte .-
Annabeth fissò a lungo la sua interlocutrice cercando di scovare in quel visino di porcellana un qualche indizio delle sue reali intenzioni. Purtroppo il suo sforzo risultò vano.
- Chi mi dice che non stai cercando di incastrarmi?- chiese prudente.
- Nessuno.- rispose l'altra con un sospiro - Ma comprendo la tua esigenza di una dimostrazione della mia buona fede; quando andrai al Municipio a registrare il cucciolo guarda sul muro dei condannati, anno 1943. Poi discuteremo il da farsi.-
Ciò detto, senza aspettare una replica da parte di Annabeth, si rimise in marcia.
Il quartiere era buio e silenzioso, si udiva solo lo sporadico latrato di qualche cane o i miagolii furiosi di gatti che si azzuffavano nella notte.
Solo quando imboccarono una via sulla desta scorsero, attraverso il nylon con cui era stata chiusa la finestra, una fioca luce proveniente da un garage in lamiera. Le voci di due uomini trapelavano attraverso la malconcia struttura, insulti e risate sgraziate.
Beatrix fece cenno ad Annabeth di seguirla. Costeggiò il muro della casa accanto allo sgangherato garage, fino ad arrivare a un punto in cui si trovavano un paio di bidoni blu di plastica. Con un'agile balzo la fanciulla saltò prima su uno dei bidoni e poi sul tetto e l'altra la seguì subito dopo. Camminarono sulle tegole instabili fino al ciglio del tetto che sporgeva proprio sopra al garage nel punto in cui di aprivano due lucernari improvvisati.
Beatrix fece cenno di abbassarsi e le due ragazze si sdraiarono sul tetto.
- Li tengo d'occhio da un po'. Sono due incalliti criminali di quartiere, nessuno sentirà la loro mancanza.-
L'altra si morse il labbro con fare pensieroso.
All'interno della rimessa c'erano due uomini tatuati. Il primo, che dava l'impressione di essere il capo, indossava una camicia bianca e stava pulendo una grossa pistola vantandosi a gran voce di un qualche colpo che aveva fatto recentemente, mentre il più grosso mostrava la sua approvazione con grugniti e risate sguaiate oliando la catena di una grossa moto da corsa e versandosi metà dell'olio sulla canottiera piena di macchie di unto e grasso.
- Sono cugini.- continuò Beatrix - Quello armato crede di essere un temuto gangster, ma non è che un piccolo boss di quartiere. L'altro è il suo braccio destro, tanto grosso quanto stupido, perdona il cliché, suo cugino non gli fa neanche portare un'arma per paura che ammazzi se stesso o qualcuno accanto a lui.-
- Direi che quello grosso fa proprio a caso del mio cucciolo.- commentò.
- Bene.- approvò l'altra - Qual è la tua strategia?-
- Sarebbe meglio se glie lo portassi vivo con un cuore pulsante che pompa il sangue fuori dal corpo, ma credo che la sua morale da sapiens potrebbe ostacolarlo. Penso che gli spezzerò il collo, sarà più semplice per lui farsene una ragione, e poiavrà così fame da non avere grossi problemi a dissanguarlo anche da morto.- rispose Annabeth pensierosa.
Beatrix sorrise compiaciuta.
- Ottimo, allora io prendo quello armato e ce lo dividiamo.-
Con attenzione scesero dal tetto e si avvicinarono alla porta del garage. Prima di bussare si scambiarono uno sguardo d'intesa e Beatrix si strinse ad Annabeth assumendo un'espressione spaventata. Anche la ragazza si sforzo di apparire agitata, prese un bel respiro e busso con forza alla porta di lamiera.
All'interno calò il silenzio.
Una sedia scricchiolò in maniera quasi impercettibile e dei passi si avvicinarono con circospezione.
La porta si aprì stridendo con forza nello strusciare sul pavimento in cemento e un uomo con la pelle troppo abbronzata e i capelli scuri sparati in alto si affacciò sulla soglia. Aveva l'espressione di qualcuno che si aspetta di trovare guai ad attenderlo, ma il suo volto cambiò subito quando vide le due ragazze; una sorta di ghigno compiaciuto si aprì sul suo volto.
- Buona sera, belle fanciulle, che posso fare per voi?- chiese ammiccante.
Annabeth si stupì del fatto che fosse in grado di pronunciare una frase del genere.
- Mi scusi, io e la mia sorellina ci siamo perse e abbiamo visto la luce accesa...non volevamo disturbare...ma non sapevamo a chi rivolgersi a quest'ora...non sapreste dirci come arrivare in città?- domandò con voce esitante.
Probabilmente l'uomo penso che Natale quell'anno fosse arrivato in anticipo.
- Ma certo, venite, venite, dovrei avere una mappa stradale proprio nel cassetto del bancone.-
Le due ragazze entrarono farfugliando un paio di frasi di riconoscenza; all'interno il puzzo di benzina, olio da motore e vernice era così forte da far bruciare il naso e si accompagnava a un odore meno intenso di birra e polvere da sparo.
- Ehi, cugino, saluta le signorine, non fare il cafone.- commentò ghignando.
Fu allora che le due ragazze tornarono al loro solito atteggiamento.
- Che mancanza di classe.- commendò Beatrix prima di scattare verso l'uomo armato.
Prima che quello potesse anche accennare a reagire gli fu alle spalle e gli piantò i lunghi canini nel collo, affondando in profondità. L'uomo non riuscì a lottare, ebbe appena uno spasmo quando i denti della fanciulla lacerarono la carne, ma poi i suoi muscoli si distesero e lui si abbandonò alla morte con un'espressione beata sul volto.
Il cugino si alzò di scatto rovesciando la sedia su cui sedeva, ma era riuscito a fare appena un paio di passi quando Annabeth gli fu addosso. Lo afferrò con una presa al collo e con un gesto secco e preciso spezzò le vertebre di quell'uomo grande e grosso con se fossero grissini.
- Portarsi gente morta sulle spalle è un buon esercizio, ma direi che con oggi ho dato per tutta la settimana.-
Si sedette sul bancone aspettando il suo turno per cenare. Non ci volle molto.
- Ecco a te.- disse Beatrix.
Annabeth saltò giù dal tavolo.
- Come facciamo per questo casino?- chiese.
- Lascia fare a me.-
Le ragazze si scambiarono il posto e Annabeth poté affondare i denti nel collo dell'uomo.
Il sangue caldo le schizzò in bocca e le scese giù per la gola: era un'altra cosa rispetto alle sacche da trasfusioni che si era costretti a portarsi appresso durante i viaggi. Quelle sapevano di anticoagulante e di stantio, mentre quello era fresco, vivo, pompato fuori dal corpo da un cuore ancora pulsante.
Per un attimo si estraniò completamente dal mondo intorno a lei, il tempo necessario per dissanguare il corpo esanime dell'uomo. Solo allora si leccò le labbra e si guardò attorno per vedere cosa stesse facendo la sua compagna.
Beatrix se ne stava con le dita intrecciate dietro la schiena a fissare lo scaffale sul fondo del garage stipato di taniche rosse.
- Sembrerà un incidente...e comunque nessuno farà troppe domande.- disse.
Le ragazze rovesciarono la scaffalatura versandoci abbondante benzina sopra, poi vi lasciarono il corpo a fianco.
Annabeth si caricò il corpo dell'altro uomo sulle spalle e uscì all'aria aperta. Finalmente riuscì a respirare di nuovo senza sentire il naso bruciare come si vi fosse entrato del fuoco.
Beatrix varcò la porta subito dopo di lei; aveva preso la pistola appena del morto e l'aveva caricata con cura. Mirò con precisione all'intelaiatura in ferro dello scaffale e sparò; la scintilla provocata dal proiettile che colpiva il metallo fece divampare l'incendio.
La fanciulla lanciò la pistola all'interno e chiuse la porta.
Alte fiamme rosse, arancioni e blu si alzarono dal garage insieme all'odore di gomma e lamiere bruciate. Poi il primo scoppio fece saltare il tetto aumentando il vigore delle fiamme.
Gli occhi di Beatrix rilucevano di riflessi rossi e oro.
- Andiamo.- disse - Ormai avrà quasi finito.-
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