giovedì 12 febbraio 2015

Capitolo 23 - Rosemary Laine

 Rosemary Laine dormiva profondamente nel silenzioso abbraccio della notte.
I massicci muri di ferro e cemento si ergevano possenti sullo sfondo oscuro del cielo notturno; il buio fitto che li avvolgeva mascherava le profonde crepe, che attraversavano la loro solida struttura, e i vetri frantumati delle alte finestre dell'edificio, dando quasi l'impressione che la vecchia filiera stesse solo riposando nell'attesa che qualcuno l'andasse ad aprire il giorno seguente per riprendere la produzione. Tuttavia la recinzione semi demolita e i macchinari arrugginiti, mescolati a cumuli di spazzatura abbandonata nel cortile di fronte, non lasciavano dubbi sul fatto che nessun operaio avrebbe messo piede lì dentro l'indomani mattina.
Mentre il vento passava le sue gelide dita tra i suoi soffici capelli color platino, gli occhi di Beatrix scrutavano la fabbrica abbandonata nel tentativo di indovinare un qualsiasi movimento proveniente dall'interno. Le era parso di intravedere almeno tre diverse ombre pascolare davanti ai buchi vuoti lasciati dalle vetrate rotte, ombre che aveva movenze decisamente più bestiali che umane.
Prese un profondo respiro.
A quanto pareva le supposizioni che Annabeth e lei avevano avanzato il giorno precedente erano corrette: in quel fatiscente edificio degli anni venti circolavano sicuramente dei Famelici e forse non erano neppure soli.

La ragazza intrecciò le dita delle mani dietro la schiena, sgranchendosi le spalle.
Non era sicura di avere molte possibilità contro più di un paio di Famelici: erano, sì, creature molto stupide, almeno più della maggior parte dei mammiferi, ma una fame costante e cieca li portava ad ignorare sia la paura che il dolore e la loro stessa scarsa intelligenza li difendeva anche da molti dei trucchetti mentali che gli psichici usavano per compensare le loro scarse doti fisiche, rendendoli dunque ostici avversari.
Non era difficile per Beatrix capire che entrare da sola nella fabbrica non era il modo migliore di concludere la serata, ma alla fine dei conti non aveva mai pensato che dovesse esserlo: era stato piacevole cenare con suo fratello, Annabeth e il giovane Vincent, parlare di argomenti leggeri e ridere di gusto alle battute dei commensali, dunque forse non era poi così male morire in una notte come quella, anche se avrebbe preferito essere seppellita accanto a sua moglie piuttosto che essere smembrata e lasciata a decomporre su un pavimento di cemento in tanti piccoli pezzi.
Rompendo ogni ulteriore indugio, varcò la soglia dello sbilenco cancello arrugginito e attraversò il breve vialetto che conduceva alla cadente struttura. Il terreno brullo, disseminato di rovi ed erbacce e coperto di variegata spazzatura, l'accompagnò fino al portone sfondato e decorato da da scritte fatte con la vernice spray da qualche teppista di passaggio. La fanciulla si fermò un attimo per leggere una frase tracciata in alto, sullo stipite, intagliata con un coltello e ricalcata con un pennarello indelebile: "Benvenuti nel regno dei morti, scappate ora che siete in tempo".
Beatrix diede una scrollata di spalle e si spinse con circospezione all'interno dell'edificio.
L'oscurità dell'ambiente non era un problema per i suoi occhi abituati alla notte, né la corrente d'aria gelida che penetrava dagli infissi sgangherati, ma l'odore di quel posto le fece per un istante accartocciare lo stomaco: era un sentore di putrido, marcio, insieme al tanfo di muffa e di umido insieme a un fetore più umano, come di escrementi, sudore, sangue e pelle. Questo tuttavia non riuscì a scoraggiarla; con passo deciso si addentrò nel cuore dell'edificio facendo attenzione a non calpestare nulla e a fare il minor rumore possibile. Tutt'attorno a lei poteva udire scricchiolii e soffici tonfi, squittii e crepitii, ma nulla così vicino a lei da riuscire ad allarmarla.
Era tesa: sapeva che era solo uno scherzo della sua immaginazione, ma continuava ad udire respiri faticosi tutt'attorno a sé, sempre più vicini, come una morsa che si chiudeva su di lei costringendola a voltarsi ogni pochi passi.
Salì le scale che conducevano al piano superiore tenendosi ben attaccata al muro per paura di essere colta di sorpresa e spinta giù per i gradini.
Il corridoio del primo piano era uguale a quello del piano terra: polvere, pezzi di intonaco, resti di mobili e immondizia sparsi sul pavimento, ragnatele, bottiglie vuote. Dalle finestre sventrate filtrava aria fredda che faceva ondeggiare le immense tele che i ragni avevano costruito nel corso degli anni, illuminate dalla fredda luce di una pallida mezza luna.
D'un tratto qualcosa attrasse la sua attenzione: un odore appena percettibile di fresco, di pulito, che proveniva dalla sua destra. Si diresse lentamente da quella parte, arrivò alla fine del corridoio e si trovò di fronte  una grossa porta in legno rinforzata con placche di metallo, non molto utile viste le sue discutibili condizioni e il fatto che fosse socchiusa. La spinse cautamente e fece il suo ingresso su un alto parapetto collegato da una scala di ferro a una sottostante ampia sala nella quale erano alloggiati diversi antichi macchinari abbandonati e ormai danneggiati dal tempo.
Scese i gradini cigolanti e si ritrovò della zona che probabilmente era stata in passato adibita alla produzione tessile: ricordava bene quei tempi e quei luoghi dei quali ora non rimanevano che le fotografie in bianco e nero sui libri di storia.
Le sue dita sfiorarono appena uno di quegli immensi telai meccanici mentre i suoi piedi leggeri continuavano a seguire quel l'odore di vita che attraversava con una lama affilata la defunta Rosemary Laine.
Poi arrivò quel tonfo, proprio alle sue spalle; ogni muscolo del corpo di Beatrix si immobilizzò e si contrasse, prima che lentamente riuscisse a girarsi. La creatura era davanti a lei: aveva fattezze umane, ma sotto la pallida pelle sottile affioravano ossa spigolose e nodose. Le braccia, sproporzionatamente lunghe, sfioravano quasi il pavimento a causa della contorta postura della bestia, con le spalle incassate e le gambe piegate. Il collo sottile si allungò verso di lei, mentre le narici si aprivano e chiudevano spasmodicamente nel tentativo di studiare meglio la sua vittima, cosa che le orbite vuote le impedivano di fare con gli occhi.
Beatrix fece un passo indietro.
Il Famelico emise una specie di mugugno seguito da un suono simile a quello che fanno i serpenti, per avvisare gli altri animali della loro presenza, e si protese ulteriormente verso di lei: avanzò una delle sue scheletriche mani verso la fanciulla, i lunghi artigli affilati come rasoi.
Mi dispiace.- sussurrò lei.
Poi senza perdere altro tempo tese il braccio ad afferrare il tubo di piombo che era schizzato verso di lei dall'alto dei gradini e con violenza lo conficcò nel cranio della creatura facendolo uscire da sotto la prima vertebra cervicale. La pallida bestia si accasciò al suolo.
Beatrix esitò un attimo, mentre riprendeva fiato: spostare gli oggetti con la sola forza cerebrale era faticoso, ma non sarebbe riuscita a portarsi dietro quel tubo da sola.
Si voltò e fece un paio di passi verso la direzione prestabilita, ma altre due creature le si pararono davanti.
Indietreggiò; uno dei due cominciò ad avanzare verso di lei, mentre l'altro rovesciò la testa all'indietro, sganciò la mascella spalancando completamente la bocca ed emise un suono stridulo, come un'acutissimo urlo.
La fanciulla si portò le mani alle orecchie per proteggere i timpani da quel suono atroce. Durò appena un paio di secondi, ma lei sapeva bene che il peggio sarebbe arrivato solo dopo.
Era appena riuscita a riprendersi che altri tonfi sordi alle sue spalle e suoni gorgoglianti le fecero capire che era nei guai.
Lanciò un'occhiata dietro di sé per essere certa di quello che stava accadendo: altre quattro di quelle cose si erano unite alla festa. Non poteva fronteggiarne sei insieme.
Cazzo.- sibilò tra i denti.
Il tubo di piombo schizzò fuori dal cadavere del primo Famelico e roteando su se stesso sfondò il cranio di quello di fronte a lei che aveva fatto l'errore di avvicinarlesi troppo.
Approfittando dell'attimo di scompiglio del resto del branco, la fanciulla saltò su una filatrice e con un balzo scavalcò l'atra bestia che aveva davanti e senza esitazione si precipitò verso la porta.
Per sfortuna, come le altre che aveva trovato precedentemente, era seriamente danneggiata, ma erano rimasti intatti i due grossi anelli che probabilmente erano serviti per sbarrarla durante le ore  notturne al fine di evitare i furti. Con rapidità divelse il corrimano di ferro di una scala crollata lì a fianco e lo usò per sbarrare il passaggio: non li avrebbe trattenuti a lungo, ma almeno le avrebbe fatto guadagnare tempo.
Corse lungo in corridoio: doveva uscire il prima possibile, ma non aveva idea di dove andare, era stata una pessima idea presentarsi alla fabbrica da sola e senza un piantina.
Girò a sinistra, superò quelli che dovevano essere degli uffici e all'angolo svoltò a destra e...si ritrovò stesa sul pavimento a ridosso del muro. Il volto del Famelico era a pochi centimetri dal suo, la bocca spalancata e completamente dislocata con le zanne aguzze vicinissime al suo viso e un unico occhio cieco rivolto verso il soffitto.
Beatrix mantenne la calma ed estrasse rapidamente una lama dalla manica: il suo braccio affondò nel ventre scavato della creatura ed entrò nel torace per uscire poi col suo cuore pulsante tra le dita. La cosa emise un verso rantolante e si accasciò al suolo consentendo alla ragazza di rialzarsi.
Solo allora avvertì il dolore al fianco sinistro; pregò fra sé di non essersi rotta nulla.
Uscì barcollante dalla stanza in cui l'aveva catapultata il Famelico e riprese a correre lungo il corridoio fino ad arrivare a delle scale: non erano in ferro questa volta, ma in cemento. Le seguì nella vana speranza che la portassero all'esterno o almeno al piano terra, ma quando arrivò in fondo non le ci volle molto per capire che si trovava in una sorta di seminterrato.
Dannazione, dannazione, cazzo!- imprecò sottovoce cercando di mantenere la calma.
Doveva tornare indietro o qualcosa del genere e uscire da quel posto, sapeva bene che andare nel panico non sarebbe stato d'aiuto. Si guardò attorno per vedere se c'erano altre uscite oltre quella da cui era arrivata, quando sentì di nuovo quel tintinnio da rettile provenire dalla sua sinistra.
Si voltò proprio nel momento in cui il Famelico spiccava un balzo verso di lei, il che le diede appena il tempo di scattare di lato evitando per un soffio i suoi acuminati artigli.
Senza pensarci neanche un secondo, Beatrix imboccò la scalinata che aveva preso per scendere in quella trappola e corse al piano superiore.
Purtroppo, appena giunta nel corridoio si trovò davanti un altra bestia affamata ad aspettarla.
Cazzo, è uno scherzo?- commentò lei ansimando.
Il famelico si avventò sulla fanciulla che si appiattì contro il muro per scansarlo: sperò in un colpo di fortuna da film in cui uno dei mostri casca addosso a quell'altro eliminandosi a vicenda, ma purtroppo non andò così. Le due creature avanzarono verso di lei gorgogliando e mostrando i denti, i muscoli tesi nell'attesa del momento giusto per balzarle addosso.
Poi uno dei Famelici saltò verso di lei: la fanciulla si abbassò e lo respinse, indietreggiando di qualche passo nel corridoio. Poi toccò all'altro: come animali da branco non erano molto organizzati.
Questa volta Beatrix era preparata: dal seminterrato volò verso di lei un tubo di ferro con il quale colpì al petto la bestia mandandole in frantumi la gabbia toracica, poi con più forza glie l'affondò nel torace lasciandolo a terra rantolante. Stava già per passare all'altro quando un suono sordo seguito da un dolore improvviso la bloccarono.
Urlò prendendosi la coscia fra le mani: un dardo di una balestra le spuntava dalla carne mentre dalla ferita sgorgava un fiotto di sangue.
I suoi occhi corsero lungo il corridoio, ma riuscirono appena ad intravedere una figura scura che si allontanava prima che il Famelico le fosse di nuovo addosso. Questa volta la colse alla sprovvista: alzò il braccio per proteggersi è quello la morse. La fanciulla strinse i denti e con la lama aprì la gola della bestia e poi le spezzò il collo.
Per un attimo ci fu di nuovo il silenzio.
Beatrix sentiva il cuore battere a mille e il dolore salire dalla coscia fino al fianco.
Frassino...cazzo...- bisbigliò cercando di farsi forza.
Con uno sforzo sovrumano si alzò dal pavimento appoggiandosi al muro per sorreggersi, nella mano destra il tubo di ferro che strusciava per terra.
Così appoggiata alla parete si trascinò per diversi metri lungo il corridoio fino ad arrivare a una delle porte che si affacciavano sugli uffici.
La prima volta non se ne era accorta, ma ora vedeva che sulla parete opposta rispetto a quella dove si trovava. vi era una porta che dava sull'interno dell'edificio. Attraversò la stanza zoppicando e abbassò energicamente la maniglia: era chiusa. Non aveva né il tempo né la pazienza di cercare la chiave; prese un respiro profondo e abbatté l'uscio con una spallata.
Era di nuovo su un parapetto, sotto di lei un'ampia sala con grosse casse di legno e ampi teli polverosi a coprire voluminosi oggetti misteriosi.
Si avviò lungo la scala trascinandosi dietro il tubo di ferro: la gamba ferita la sorreggeva a malapena e il dolore si irradiava ormai dalla caviglia alla scapola. Era così occupata a tenersi in piedi che non si accorse in tempo del tintinnio metallico prodotto dalle pesanti catene sopra la sua testa e quando finalmente alzò lo sguardo riuscì a malapena ad intravedere gli artigli del Famelico che si abbattevano su di lei. Barcollò all'indietro e ruzzolò giù per le scale; fortunatamente la bestia non l'aveva ferita, ma l'atterraggio sul pavimento di cemento si fece sentire. Sbatté violentemente  a terra con la testa e per un attimo il mondo si oscurò attorno a lei; tutto parve rallentare e rimbombare dentro il suo cranio, mentre lo spazio è il tempo si dilatavano e sdoppiavano davanti a lei.
Ma la creatura non aveva certo intenzione di darle tregua: atterrata a poca distanza da lei emise un suono stridulo e le si avventò addosso con la bocca spalancata.
La fanciulla strinse il tubo di ferro e con decisione glie lo infilò in gola facendolo uscire dalla nuca: la bestia atterrò sulle sue gambe contorcendosi prima di spirare.
Beatrix cercò di riprendere fiato: aveva il battito accelerato e respirava sempre più rapidamente. Doveva uscire da quel posto o ci avrebbe rimesso la pelle.
Fece rotolare in corpo della bestia di lato per potersi rialzare quando quel suono da rettile arrivò di nuovo alle sue orecchie.
Oddio, non ora...- gemette.
La creatura scese dalla balaustra in alto artigliandosi alla parete con le lunghe unghie ossee, i lunghi e sottili capelli bianche che ondeggiavano sporchi davanti al viso privo di occhi.
Emise una sorta di viscido gorgoglio e poi si lanciò a terra proprio di fronte a lei.
La fanciulla strisciò indietro di mezzo metro finché la sua schiena non finì a sbattere contro il freddo muro di cemento: era in trappola.
Il famelico sganciò la mascella rivelando due file di denti aguzzi in una bocca dall'innaturale apertura, contrasse i muscoli delle gambe e balzò verso la sua preda.

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