giovedì 27 novembre 2014

Capitolo 17 - Buon Compleanno

Le ombre della notte avevano avvolto la città in un freddo abbraccio. Miriadi di puntini luminosi avevano acceso la chiassosa città sconfiggendo la minaccia del buio che da sempre affliggeva l'animo umano. Le giornate si stavano facendo ogni giorno più corte mano a mano che si avvicinava l'inverno, ma la frenetica vita urbana continuava instancabile anche dopo il tramonto, grazie al progresso che la scienza aveva portato.
Annabeth girò pigramente la pagina del libro, comodamente sdraiata sul divano con la testa poggiata al bracciolo e la coperta sulle gambe.
La fretta: era la caratteristica che lei vedeva più spiccata nei Sapiens, il loro frenetico rincorrere un tempo che sgusciava via dalla loro fragile presa. Molti pensavano che tale angosciante inseguimento fosse nato di recente con l'apertura delle fabbriche e l'avvento dell'era moderna, ma lei aveva vissuto abbastanza a lungo per sapere che non era così; da sempre quelle fragili creature si erano affaticate ogni istante della loro effimera esistenza per mettere insieme i frammenti di tempo che avevano a disposizione, credendo che correre da una parte all'altra avrebbe riempito il loro animo di sufficiente saggezza da riuscire ad affrontare serenamente la morte. Ciononostante Annabeth sapeva bene che le cose non funzionavano in quella maniera: aveva visto ragazzi avanzare fieri verso il loro destino e vecchi di migliaia di anni piangere come bambini al momento della fine.

Sorrise grattando Giano dietro le orecchie.
Per lei era sempre stato difficile comprendere le persone: sin da bambina aveva avuto difficoltà nell'interpretare i gesti e le convenzioni del mondo umano, cosa che l'aveva portata a lunghi studi sulla psicologia, l'antropologia e la mimica al fine di sopravvivere fra la gente. Nonostante ciò aveva sempre avuto un'abilità innata nel leggere la serenità dietro uno sguardo ed era ciò che aveva visto negli occhi di Vince quella mattina nella metropolitana. Non le era stato difficile comprendere che stava morendo: l'odore della sua pelle, il ritmo del suo cuore e tutti quei piccoli particolari, che la sua vista di scienziata le aveva insegnato a cogliere, erano segnali lampanti della sua imminente dipartita. Eppure lui era sereno, si era preso il tempo di sedersi a parlare, viveva ogni giorni con calma e pienezza ed era qualcosa che lei non poteva non ammirare.
Il ragazzo entrò in sala finendo di abbottonarsi la camicia.
- Sei pronta?- chiese.
Lei sospirò.
- Devo mettermi le scarpe.- rispose sedendosi sul divano e poggiando il libro sui morbidi cuscini - Vuoi proprio uscire?-
- Anna, è il tuo compleanno, dobbiamo uscire! E poi trecentocinquantotto anni si compiono una volta sola.-
Lei alzò un sopracciglio con fare poco convinto.
- Sarà, ma è già stato il mio compleanno altre trecentocinquantasette volte, dopo un po' non ci dai più molto peso.-
- Oh, non fare la guasta feste! Andiamo al bar, ci beviamo un po' di...non lo so, qualche alcolico che ti piace, spegni una candela a su un cupcake, due risate e siamo a casa entro le due...massimo le tre.-
Lei sorrise e si alzò stiracchiandosi con un'aria un po' perplessa il volto.
- Perché la candelina sul cupcake?
Vince fece un gesto vago.
- Boh, va di moda. E poi, anche se avessi trovato una torta abbastanza grande per infilarci trecentocinquantotto candeline, non saremmo mai riusciti a mangiarla in due e buttarla dispiace.-
Lei annuì convinta.
- Non hai tutti i torti, ma potevi prendere quelle candele a forma di numeri.-
- Oh, assolutamente no.- rispose lui mettendo le mani avanti - Le trovo raccapriccianti.-
Annabeth ridacchiò divertita.
- Tu sei strano.- commentò - Comunque mi hai convinto, vado a mettermi le scarpe e usciamo, ma voglio essere a casa per l'una.-
Il ragazzo si esibì in un esageratamente cerimonioso inchino, mentre la sua maestra lasciava la sala.
Si stava ancora finendo di infilare la seconda scarpa quando un telefono cominciò a squillare.
- È il tuo.- le gridò Vince.
Prese il cellulare dal tavolinetto della sala e le andò incontro.
Quando Annabeth prese il telefono aggrottò le sopracciglia con aria sorpresa, fece scorrere il dito sullo schermo e rispose.
- Pronto?...no, non mi disturbi, dimmi...certo, ma è successo qualcosa di grave?...va bene, allora sono lì in una ventina di minuti...figurati, a dopo...ciao.-
Riattacco.
Pareva perplessa: rimase qualche secondo a fissare il cellulare prima di alzare lo sguardo e incrociare quello interrogativo di Vince.
- Era Sigmund, mi ha chiesto di andare là, dice che deve parlarmi di qualcosa che non può dire al telefono.-
- Ma è grave?- chiese lui.
- No, dice di no, ma è il caso che vada.-
- E io vengo con te, così se non è nulla dopo andiamo a festeggiare il tuo compleanno. Magari invitiamo anche lui è Beatrix.-
Lei gli scoccò un'occhiata significativa accompagnata da un mezzo sorriso.
- Tu non ti arrendi mai, eh?-
- Mai.- affermò lui con convinzione.-
Lei sospirò e si avviò verso l'ingresso.
- D'accordo, ma niente inviti extra.-
Indossò il cappotto e prese le chiavi dalla ciotola all'ingresso.
- Ma mi raccomando, lascia fare a me. E guidi tu.-
Gli tirò la chiave della macchina.
Mentre il ragazzo la prendeva al volo i suoi occhi parlavano da un'espressione stupita a una euforica per poi tornare di nuovo allo stupore e all'incredulità.
- Ma davvero?- chiese.
- Ti devono piacere proprio le macchine.- commentò lei interdetta - Comunque sì, tanto lo sai usare il cambio manuale, vero?-
Lui annuì vigorosamente.
- Me lo ha insegnato un amico.-
- Perfetto.- rispose lei - Ora andiamo, non vorrei che ci fosse qualcosa che non va.-

Il paesaggio degradato del povero quartiere in cui risiedevano i fratelli Swift metteva sempre a disagio Annabeth. Il terribile odore che saliva dalla fogne aperte, il puzzo di umido e marcio che impregnava l'aria, il tanfo dei cassonetti pieni lasciati ad attendere il passaggio del camion dei rifiuti. Non era certo un bel posto in cui vivere, ma al contrario della ragazza Vince pareva riuscire a muovercisi bene: vi aveva lavorato a lungo e aveva imparato a conviverci.
Annabeth sbirciò le facciate scrostate dei vecchi palazzi: le finestre erano chiuse più da assi inchiodate che dai vetri delle finestre e tra un complesso di appartamenti e l'altro si intravedevano scuri mostri di cemento mai completati, che andavano lentamente in rovina senza mai aver ospitato altro che ratti e sbandati di ogni genere.
Appoggiò la testa alla portiera.
All'interno della Comunità Sigmund e Beatrix non occupavano un posto al vertice della piramide sociale, ma erano antichi e, soprattutto la fanciulla, avevano stretto forte relazioni con nomi importanti, anche se il prestigio non era qualcosa che li avesse mai attirati. Ciononostante avevano accumulato molto denaro nel tempo, senza contare il fatto che erano nati in una famiglia molto facoltosa, ma nonostante questo si ostinavano a risiedere in quell'orribile quartiere. Tuttavia Annabeth ne comprendeva bene il motivo: quella zona si trovava al confine dell'area di controllo della Comunità e, dal momento che Beatrix aveva intrapreso una strada che poteva portarla a scontrarsi con le leggi che governavano la loro società, per lei era vantaggioso poter svolgere i suoi affari in un luogo dove gli occhi della guardia non l'avrebbero seguita.
Vince rallentò guardandosi attorno.
- Anna, dove posso parcheggiare? Se lascio la macchina da queste parti quando torniamo non troviamo che i vetri rotti del finestrino.-
Lei sorrise. Avrebbe dovuto pensare prima a prendersi un'autista e il ragazzo era perfetto: aveva una guida delicata e un andamento omogeneo che non le suscitava quella nausea fastidiosa che spesso la prendeva quando usava i mezzi di trasporto.
- Non preoccuparti, Sigmund ha un garage, ma né lui né Beatrix hanno un'auto, possiamo parcheggiarla lì. - si sporse un poco in avanti e indicò col braccio - Ecco, gira lì.-
Il giovane voltò nella sudicia vietta costeggiata dai fatiscenti palazzi.
Diverse teste si voltarono a seguire il passaggio dell'auto dai gradini dei condomini, commenti silenziosi si consumarono sulle loro labbra oltre il finestrino.
- Pare che non siamo i benvenuti.- osservò Annabeth.
Vince scrollò le spalle.
- Non si vede spesso una macchina come questa da queste parti, saranno sorpresi.- rispose.
- Non è quello che hanno detto.- commentò lei.
Lui le lanciò una rapida occhiata accigliata.
I finestrini sono insonorizzati. Come fai a sapere cosa hanno detto?-
- So leggere le labbra. Ho vissuto con una pittrice sorda per cinque anni a Parigi.-
Vince la guardò fisso con la bocca semi-aperta per un paio di secondi prima di tornare a guardare la strada.
- Beh, almeno adesso so che hai vissuto anche con degli esseri umani.- commentò infine.
- Più o meno.- rispose lei passandosi le dita tra i capelli - Eravamo amanti, anche se era solo lei ad amarmi. Mi piaceva come persona ed era...interessante. È morta di tubercolosi all'inizio del '900.-
Il giovane fece per dire qualcosa, poi ci ripensò e infine trovò le parole giuste commentare.
- Innanzi tutto venirsene fuori con questo discorso mentre sto guidando non è la cosa più saggia da fare. Ma soprattutto ora credo di essere un po' confuso.-
Lei gli sorrise.
- Come ti ho già detto nella nostra società la sessualità è vissuta in modo più libero e disinibito. Le classificazioni che i Sapiens fanno riguardo alle inclinazioni sessuali non hanno alcun significato per noi. Certo, abbiamo delle preferenze: Beatrix per esempio non prova alcun interesse per gli uomini, mentre io in linea di massima li preferisco alle donne, ma tendo a dare più importanza a ciò che le persone hanno da offrire intellettualmente parlando che al loro aspetto o al loro sesso, anche se Stefanie era molto bella. Accosta.-
Vincent obbedì in automatico, nonostante la sua mente fosse ancora un po' frastornata dalle ultime informazioni.
Annabeth prese il piccolo telecomando nel vano porta oggetti e schiacciò il pulsante a sinistra. La saracinesca del box che si trovava a un paio di metri da loro si aprì, consentendo al ragazzo di parcheggiare.
I due scesero dall'auto e uscirono in strada: mentre la porta del garage si chiudeva alle loro spalle, imboccarono la stretta stradina che portava alla casa dei Swift.
Vincent camminava dietro alla sua Maestra che procedeva in silenzio a passo spedito ; non ricordava così quel posto, non ricordava i dettagli, quegli odori pungenti, il sudicio dell'aria che si depositava sulla sua pelle e penetrava nei suoi polmoni ad ogni respiro. E non ricordava gli occhi: ora li percepiva distintamente sulla sua nuca, sguardi insistenti che seguivano i loro passi a studiata distanza.
Si schiarì la voce con fare nervoso.
- Li sento anch'io.- disse Anna - Non preoccuparti.-
Finalmente aveva capito: la prima volta che aveva battuto quelle strade aveva pensato che quegli sguardi fossero per lei, poi si era convinta che fossero gli occhi della Comunità che controllavano Beatrix, ma ora sapeva la verità. Erano gli Indipendenti, che controllavano i confini che separavano le terre libere dal regno del Senato e che probabilmente sorvegliavano la fanciulla dai capelli di platino.
La ragazza di fermò davanti alla scrostata porta di legno e con decisione bussò due volte, poi fece un passo indietro e attese.
Passarono alcuni lunghissimi secondi prima che le serrature scattassero e Sigmund si affacciasse sulla soglia.
- Grazie per essere venuta.- disse con un mezzo sorriso - E vedo che hai portato anche Vincent.-
- Mi fa da autista.- rispose lei.
- Capisco, entrate.- li invitò l'uomo facendosi da parte.
Annabeth e Vince entrarono nella stanza e prima che potessero dire nulla Lloyd si alzò in piedi aprendo le braccia.
- Buon compleanno!-
La ragazza rimase bloccata in mezzo alla stanza: davanti a lei il locale era stato decorato con delicati fiori di carta ed era stato collocato un lungo tavolo davanti al camino per potervi appoggiare cibi e bevande. Si guardò attorno incontrando i sorrisi dei fratelli Swift e di Vince, il quale stava palesemente gongolando, soddisfatto della riuscita del suo piano.
- Questa me la paghi.- lo minacciò lei, ma non le riuscì di nascondere l'apprezzamento per quel gesto gentile.
Il seguito fu un susseguirsi di auguri e abbracci, un calice di champagne, tanto, troppo cibo e l'apertura dei regali; Lloyd le aveva impacchettato una bottiglia del suo speciale vino liquoroso che teneva da parte per le occasioni speciali, Sigmund un antico libro di anatomia illustrato a mano e Beatrix un quadretto con fiori e foglie e una farfalla spillata. L'ultimo fu Vince che le aveva comprato una piccola borsa rotonda a forma di testa di gatto e che, nonostante fosse quello che le aveva fatto il dono più modesto, ricevette l'abbraccio più caloroso.
A quanto pareva i suoi fedeli amici avevano pensato a tutto per quella serata: le avevano preparato i cibi che preferiva, avevano selezionato i brani musicali che più amava da riprodurre durante la serata e Beatrix le aveva anche preparato una torta con in cima un piccolo cupcake munito di un'unica candelina accesa: per una attimo, mentre la spegneva sulle note di "tanti auguri a te", intonate da Vince e da un'ubriachissimo Lloyd, ebbe la certezza che quello fosse un frammento di vera felicità.
Era già passata la mezzanotte quando finirono di mangiare il dolce; Sigmund aveva intavolato una strana conversazione con il suo Cucciolo, che ascoltava a metà tra il perplesso e il divertito assurdi racconti di fatti accaduti in biblioteca. Il vecchio Lloyd invece si era addormentato ubriaco e scomposto sulla poltrona.
La ragazza fece per andare a sedersi sul divano con gli altri, quando sentì Beatrix toccarle il braccio.
- Dobbiamo parlare.- disse.
- D'accordo.- acconsentì, poi si voltò verso gli altri due - Beatrix e io ci assentiamo un attimo.-
- Cose da donne.- aggiunse la fanciulla con un sorriso malizioso.
Ciò detto non aspettarono neanche una risposta e salirono al piano superiore, dove si trovava la stanza della padrona di casa.
- Perdonami, ma dovrò farti uscire dalla finestra.- disse questa facendola entrare in camera - Per quanto temo che Sigmund sospetti già della vostra collaborazione, preferirei non confermargli la cosa finché non sarà strettamente necessario.-
Sgusciarono silenziose fuori dalla finestra atterrando delicatamente al suolo; fecero cautamente il giro del palazzo, imboccando poi un sudicio è stretto vicolo che passava tra uno vecchio rudere e un mostro di ferro e cemento mai completato.
- Vincent mi ha raccontato cosa è successo.- esordì la fanciulla camminando di fronte a lei - Devi fare attenzione con i Cuccioli, tendono a essere fragili.-
Annabeth si morse il labbro inferiore.
- Non avrei mai voluto fargli del male.- sussurrò.
- Lo so, non devi fartene una colpa, ma devi tenere a mente che potrebbe ricapitare e allora dovrai essere in grado di saper mettere da parte i tuoi sentimenti al fine di proteggerlo. Lo capisci?-
Ruotò la testa per poterla guardare in voltò e i suoi penetranti occhi verdi entrarono in quelli blu della ragazza.
- Sì, lo capisco.-
- Bene.- rispose l'altra - Sono certa che ne sarai capace.-
Fecero un'altro tratto di strada in silenzio fino a che non soggiunsero un edificio parzialmente franato e lì Beatrix si mise a sedere su un muretto si mattoni rossi e intonaco scrostato.
- Dimmi, come è stato il tuo viaggio a Peachtown?- chiese.
Annabeth incrociò le braccia.
- Soprattutto strano, direi.- rispose con lentezza - Credo avresti dovuto dirmi che è una città d'Infanti.-
La fanciulla sorrise in modo ambiguo.
E creare dei pregiudizi nella tua mente? Sarebbe stato scorretto.-
- Immaginavo lo sapessi.- scosse la testa - Ma c'è una cosa che credo ignori anche tu: anche Iris, il nostro contatto, è un'Infante.-
Questa volta sul volto di Beatrix si manifestò un'espressione di sincero stupore, prima che aggrottasse la fronte facendosi seria in viso.
- E che cosa ti ha detto di preciso?- domandò.
- Oh, non così in fretta.- rispose l'altra - Ci sono troppe cose che non mi dici e riguardo ad alcune, come Peachtown, la tua scusa delle congetture non verificate non regge affatto. Se vuoi sapere cosa ci siamo dette dovrai darmi delle risposte.-
Lei sospirò con quel suo solito fare accondiscendente e si alzò in piedi.
- D'accordo allora.- iniziò facendo un paio di passi verso di lei e intrecciando le dita dietro la schiena - Anni fa Peachtown era abitata da Sapiens, un piccolo villaggio di pionieri che non era di alcun interesse per i Monarchi. Finché le cose non presero una piega diversa: un piccolo gruppo di Indipendenti, che si era ribellato al Governo locale, si rifugiò nel suddetto villaggio. Per stanarli il Monarca diede ordine di bruciare la città. Non credo serva dirti che l'intero agglomerato urbano bruciò come carta alla fiamma di un accendino. Il villaggio fu raso al suolo e molti Sapiens morirono e tra loro i più furono bambini: l'orfanotrofio in cui risiedevano era stato chiuso per la notte, quelle creature erano sprangate dentro come bestie, così quasi tutti arsero vivi. I pochi che sopravvissero erano ricoperti di ustioni o i loro polmoni erano stati bruciati dal fumo rovente, così gli Indipendenti li trasformarono.-
Annabeth scosse la testa amareggiata.
- Che schifo.- sussurrò.
- E non è finita. Il Governo locale non volle tollerare la generazione di Infanti, temendo che gli Indipendenti cercassero di usarli per creare dei Famelici. Così ci fu una lunga e sanguinosa battaglia a seguito...-
Un suono improvviso, proveniente dalle spalle della ragazza la interruppe.
Un uomo era sbucato da dietro a uno dei muri diroccati: indossava vestiti sudici e puzzava d'alcol e in mano teneva un lungo coltello.
- Ma guarda che belle signorine, non sapete che non dovreste girare da sole?-
Sghignazzava, mostrando i denti marci e spezzati.
Beatrix sollevò un sopracciglio.
- Davvero? È una battuta piuttosto scontata.-
L'uomo afferrò Annabeth per un braccio, credendo di trovarsi in una posizione di vantaggio, ma, prima che avesse il tempo di rendersene conto, la ragazza gli giro con forza il polso mandandolo in frantumi, con un calcio gli ruppe un ginocchio facendolo cadere a terra e con il piede gli schiacciò la faccia al suolo.
- Stavamo parlando.- disse secca, poi tornò a rivolgersi alla fanciulla - Dicevi?-
- Dopo la battaglia, in cui caddero molti Vampiri da entrambi le parti, si giunse all'accordo di proclamare Peachtown zona franca. Da allora la maggior parte degli Infanti di questa regione tende a trasferirsi lì.-
L'uomo provò a dire qualcosa, ma Annabeth calcò con forza il piede sulla sua faccia.
- C'è altro che non mi stai dicendo, vero?-
- Congetture.- confermò l'altra - E preferisco non sbilanciarmi per il bene di entrambe, ma voglio condividere con te un pensiero: se tu volessi fabbricare dei Famelici, dove troveresti più facilmente il materiale adatto? O anche: fabbricato il materiale adatto, supponendo di non eliminarlo, dove andrebbe a finire una volta usato?-
La ragazza strinse le labbra pensierosa: non ci era arrivata, non aveva collegato l'aumento degli attacchi di Famelici e gli Infanti di Peachtown. Ma ovviamente Beatrix era sempre un passo avanti a lei.
La fanciulla si avvicinò alla sua interlocutrice.
Stai prendendo una certa dimestichezza nello spezzare la ossa a ignari aggressori.-
Annabeth esitò.
- L'unica altra volta che mi è capitato, in questo periodo è stato appunto a Peachtown, quindi tu come fai a saperlo?-
- Ho i miei informatori.- fece un cenno con la testa verso l'uomo - Posso?- chiese.
L'altra decise di non approfondire oltre e tolse il piede dalla sua faccia del delinquente il modo che lei potesse sollevargli la testa prendendolo per i capelli. Le sue pupille si fecero prima piccole come punte di spillo e poi si dilatarono. Gli occhi dell'uomo divennero vuoti, vacui e la sua bocca si aprì un poco in un'espressione ebete.
- Ora andrai a casa.- disse Beatrix - Scriverai una lettera confessando tutto il male che hai fatto e ti impiccherai al ventilatore del soggiorno. Hai capito?-
Lui annuì debolmente.
Le due donne lo lasciarono andare, allontanandosi di un paio di passi e osservandolo strisciare via lentamente. Solo quando fu sparito ripresero il loro discorso.
- Adesso sta a te mantenere la tua parte del patto.- disse la fanciulla.
Annabeth si passò le dita tra i capelli.
- Sarò sincera, temo di non aver capito bene cosa mi ha detto, ma sono ancora abbastanza allenata da memorizzare un dialogo.-
Con assoluta precisione riporto parola per parola ogni frase che si erano dette.
Beatrix ascoltò in silenzio fino alla fine, poi annuì lentamente.
- Capisco.- mormorò - Temo che dovremmo fermarci qui per ora.-
- Quindi non vuoi che vada a controllare l'indicazione che mi è stata data?-
- No, per ora no, devo prima verificare alcune cose.- sospirò - Torniamo a casa, tra breve mio fratello finirà per venire a controllare.-
Ripercorsero a ritroso la strada che avevano fatto all'andata.
Quando arrivarono al palazzo accanto a casa Swift salirono sul tetto grazie alla scala antincendio. Camminarono rapide e silenziose sul tetto fino ad arrivare in un punto dove dove affacciava sul balcone della dimora di Beatrix; saltò prima Annabeth e poi aiutò la fanciulla che, essendo per natura meno agile, aveva più difficoltà a causa della scomoda angolazione del balzo.
Rientrarono in camera e la ragazza si avviò verso la porta.
- Vai pure.- disse l'altra attardandosi - Aspettavo una telefonata, il tempo di trovare il telefono e scendo.-
- Bene, vado a salvare Vince.-
Uscì.
Con un gesto della mano Beatrix fece chiudere la porta, poi andò al comodino e prese il cellulare dal cassetto. Scorrendo il registro delle chiamate recenti, si sedette sul letto e selezionò il numero che le interessava.
Ci vollero tre squilli prima che qualcuno dall'altro capo rispondesse.
-...Cedric, perdonami se ti ho disturbato, ma c'è un cambio di programma...non lo so ancora, ma devo verificare alcune cose lì in Europa...di certo fa sempre piacere...Allora ti contatto non appena parto per Monaco...d'accordo, a presto...ciao.-

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