giovedì 30 ottobre 2014

Capitolo 14 - Incontri Inattesi

Vincent si stiracchiò nel letto, svegliato dal profumo del caffè che proveniva dalla cucina.
Sentendolo muovere, Sequana si catapultò fuori dal bagno andando a strofinare il muso contro quello del ragazzo.
Il giovane sorrise grattando la gattina dietro le orecchie e sotto al collo: era diventato una sorta di rito mattutino. Non gli dava affatto fastidio, anzi, lo aiutava a riprendersi dal torpore del sonno.
D'un tratto Sir Nicolas saltò sul letto svegliando la pigra Ester [*leggesi Ishtar] accoccolata ai piedi del ragazzo.
- Va bene, va bene, mi alzo.-
Vincent si alzò e andò a prepararsi in bagno.
Sir Nicolas era il direttore di casa, ormai gli era chiaro. La mattina era lui a tirarlo giù dal letto, se si attardava troppo, e durante la giornata era sempre lui a ricordargli in modo più o meno sottile quello che doveva fare.
Si tolse la maglietta e ne mise una pulita, ma tenne i pantaloni del pigiama, visto che probabilmente se ne sarebbe rimasto in casa; Anna sarebbe uscita da un momento all'altro e Beatrix aveva delle faccende di cui occuparsi, così lui avrebbe passato la giornata a mettere insieme idee e progetti per il compleanno della sua Maestra.

A essere sincero era piuttosto eccitato all'idea: non aveva mai preparato una festa a sorpresa e in realtà non sapeva neanche bene da dove iniziare, ma era certo che il magico mondo di internet gli avrebbe fornito qualche valido suggerimento.
A piedi scalzi e profumato di sapone si trascinò in cucina.
Anna se ne stava seduto su uno degli sgabelli con lo sguardo perso nel vuoto e una tazza di caffè-latte tra le mani. Con quella luce fredda mattutina e la malinconia negli occhi, Vincent pensò che fosse addirittura più bella del solito. Eppure più che lo sconforto per il fatto che sembrasse così irraggiungibile per lui, il ragazzo provò un senso di tristezza nel leggere in quel viso una sorta di placido dolore.
La ragazza di voltò verso di lui con un lieve sorriso.
- Caffellatte, dico bene?- domandò.
- Sì, grazie.- rispose lui prendendo la tazza che lei gli porgeva.
Anna dava raramente il buon giorno, in genere iniziava direttamente la conversazione saltando la parte preliminare. O almeno così faceva con lui.
A Vincent non dava fastidio, forse all'inizio l'aveva trovato strano, ma non spiacevole; sapeva bene che non si trattava di maleducazione, lei era semplicemente fatta in quella maniera e il fatto che per lungo tempo avesse vissuto da sola con l'unica compagnia di un esercito di gatti certo non doveva aver affinato le sue capacità sociali, a prescindere da quale fosse il loro livello di partenza.
Ziva, una simpatica blu di prussia dai grandi occhi arancioni di sporse dal piano dell'isola per poter annusare il contenuto della tazza di Vincent per poi ritrarsi infastidita arricciando il naso.
- Tra quanto parti?- chiese il ragazzo sedendosi sullo sgabello di fronte a lei.
- Tra una decina di minuti, devo solo abituarmi all'idea di prendere la macchina.-
Lui bevve un sorso di caffellatte.
- Mi rispieghi perché odi tanto guidare?-
Anna si strinse nelle spalle.
- È faticoso: devi fare attenzione ai pedoni che non guardano mai quando vogliono attraversare, devi fare attenzione agli automobilisti perché la maggior parte non sa guidare. In città il traffico è esasperante, trovare parcheggio è diventata un'impresa impossibile e ci sono troppe regole da seguire.- sospirò - Agli inizi del ventesimo secolo mi piaceva guidare, era molto più rilassante.-
Vincent sorrise.
- Beh, potrebbe andarti peggio: potresti dover andare a piedi.-
Lei gli lanciò una strana occhiata.
- Ho girato tutta l'europa a piedi. Ma ci vuole troppo tempo.-
Lui rimase interdetto per alcuni secondi senza trovare le parole adatte per esprime la domanda che doveva farle.
- Hai girato l'Europa a piedi? Non era meglio usare...che so...il treno?-
La ragazza scosse lentamente la testa.
- È complicato far salire una trentina di gatti su un treno, anche se sei un Vampiro.-
Vincent non poté che convenire.
Ciononostante non riusciva a visualizzare la scena della sua Maestra che si spostava con un manipolo di piccoli felini senza trovare la cosa estremamente buffa.
- Vabbè, lasciamo stare, almeno hai una macchina di questo secolo?- chiese.
Lei mise una mano in tasca, traendone una chiave nera attaccata a un portachiavi in acciaio, e la tirò al suo Cucciolo.
- L'ho comprata un anno fa, appena tornata in America.-
Il giovane rimase a guardare la chiave per qualche secondo prima di riuscire a parlare.
- Anna, tu hai una Maserati?- domandò scandendo bene le parole.
- Immagino di sì.- rispose lei con un'alzata di spalle - C'è scritto lì, no?-
Uno sguardo a metà tra l'incredulo e l'interdetto corse da Vincent ad Anna.
- Tu sai che è una macchina di lusso, vero?-
- Sì? Beh, in effetti costava un po', ma mi serviva una macchina.-
Il ragazzo posò lentamente le chiavi sul tavolo e prese un bel respiro.
- Scusa, fammi capire, tu sei entrata nel primo auto-salone che hai trovato, hai chiesto una macchina e hai pagato un paio di centinaia di migliaia di dollari senza battere ciglio?-
- Mi serviva una macchina veloce.- rispose lei con noncuranza - Il denaro non è molto importante per me. E poi non hai idea di quanto finisse a costare un'automobile agli inizi del '900.-
Lui la fissò interdetto.
- Prima o poi mi spiegherai da dove ti arrivano tutti questi soldi.- commentò attonito.
La ragazza scrollò le spalle.
- Ho vissuto a lungo e ho molti possedimenti, senza contare che il valore dell'oro e degli immobili sale sempre nel lungo periodo.- prese le chiamavi dal tavolo e saltò giù dallo sgabello - Comunque ricordami di darti un quadro più approfondito nei prossimi giorni, potrebbe tornare utile.-
Vincent sorrise.
In quelle due settimane l'atteggiamento di Anna era molto cambiato nei suoi confronti; all'inizio il semplice parlare della sua posizione sociale o dei suoi possedimenti pareva metterla in evidente difficoltà, spesso in imbarazzo. Ora invece era più disinvolta e si sforzava di metterlo al corrente della sua situazione generale, nonostante continuasse a chiarire la maggior parte delle faccende solo se le veniva chiesto o le circostanza lo richiedevano.
Il ragazzo tuttavia non si lamentava, per il resto la sua Maestra era gentile e piacevole, sapeva persino essere spiritosa quando si sforzava un poco, e lui era addirittura riuscito a convincerla a guardare una serie televisiva che davano la sera e trattava di indagini forensi; la cosa più divertente erano i commenti di Anna, che non poteva fare a meno di sottolineare ogni più piccolo errore della sceneggiatura.
Inutile dire che in tutto ciò la sua infatuazione per la bella vampira dai capelli rossi era solo che peggiorata.
- Quando pensi di tornare?- chiese lui seguendola all'ingresso con la tazza in mano - Così mi regolo per la cena.-
La ragazza indossò il cappotto di lana con fare pensieroso e si arrotolò la sciarpa intorno al collo.
- Penso che sarò a casa verso metà pomeriggio, non serve che ti preoccupi per la cena, semmai metti qualcosa a scongelare nel lavello...e mettici sopra una pentola o qualcosa del genere che non vorrei che Bacco facesse come l'ultima volta.-
Il grosso Main Coon, sentendosi chiamato in causa, alzò le orecchie e aprì un occhio per controllare che non ci fosse nulla da mangiare per lui, poi tornò ad appisolarsi sullo sgabello.
- Non temere, ho un piano.- rispose Vincent lanciando al gattone un'occhiata sospettosa.
Anna sorrise.
- Ci vediamo più tardi, studia mentre sono via.- disse sfiorandogli il braccio.
- Sissignora.- rispose lui - A dopo.-
Con un cenno della mano lei lo salutò un'ultima volta prima di uscire dalla porta.
Il ragazzo tornò in cucina per finire di fare colazione e prendere dalla tasca dei pantaloni il cellulare. Sorseggiando quello che era rimasto del suo caffellatte scorse col dito i pochi nomi che aveva in rubrica per trovare quello di Sigmund. Era ora di iniziare i preparativi per il compleanno.

Una mano sul volante e l'altra sul pomello del cambio, Annabeth guardava la strada scorrere davanti a lei oltre il parabrezza dell'elegante decappottabile nera dalla linea sportiva.
Nonostante si sforzasse non riusciva a capire alcuni comportamenti umani, come l'attaccamento alle cose. Certo, qualcuno in passato le aveva detto che per lei era facile visto che aveva tutto, ma la verità era molto diversa; negli anni che aveva passato viaggiando da una parte all'altra del mondo aveva avuto l'accortezza di mettere da parte beni e fare investimenti, ma di per sé aveva vissuto con molto poco, arrivando a dormire dove capitava e a fare la fame per giorni.
Ciononostante non comprendeva l'importanza che la gente, Sapiens e Vampiri, erano soliti dare agli oggetti: per lei una casa era un tetto sopra la testa, il resto era superfluo. Lo stesso valeva per l'auto: aveva acquistato quel modello nello specifico perché il primo autosalone che aveva trovato sul suo cammino vendeva Maserati e siccome a lei serviva un mezzo veloce e subito disponibile, non era stata troppo a pensare a cosa stava comprando. Se avesse trovato una 500 con un motore di quella potenza non avrebbe fatto differenza.
Sospirò.
In realtà le straordinari prestazioni che vantava quel l'auto non l'avevano comunque salvata dal traffico cittadino nel quale era rimasta imbottigliato non appena uscita di casa. In quel caso anche una modestissima 500 sarebbe andata bene e parcheggiarla sarebbe stato anche più agevole.
Un grosso cartello di legno scrostato annunciava l'ingresso nell'area di Peachtown.
Passandoci accanto Annabeth rallentò un poco per osservarlo meglio e non poté sfuggirle che la placca in metallo arrugginito, che riportava il numero degli abitanti, segnava "zero".
La macchina accelerò nuovamente seguendo la tortuosa strada asfaltata.
La storia della piccola città di Peachtown non era chiara; la ragazza aveva fatto qualche ricerca, ma non era riuscita a trovare molto. L'unica cosa che era riuscita a verificare era che in effetti si trattava di una comunità di soli Vampiri e che un secolo prima era stata scenario di una sanguinosa battaglia tra la Comunità e gli Indipendenti. Da allora si era giunti a una sorta di accordo tra le due fazioni, proclamando l'area porto franco per i ribelli, ma ogni prova ufficiale era segretata, solo i membri del Senato potevano accedere a quella documentazione.
Il suo arrivo in città parve non passare inosservato; più si avvicinava al cuore della cittadina più persone incontrava sulla sua strada e Annabeth poteva sentire quasi fisicamente quegli sguardi ostili seguirla lungo la via.
Si passò nervosamente le dita tra i capelli imboccando la strada urbana.
Le vie erano semi deserte, le persone che si muovevano silenziose sui marciapiedi, fissandola sospettosi, troppo poche per una cittadina di quelle dimensioni. Tutti vestivano abiti datati e Annabeth non poté non notare i bambini: erano tanti, troppi, probabilmente più degli adulti, ma nessuno di loro si stava dedicando ad attività ludiche fanciulleschi, ma sul loro volto era stampata un'espressione diffidente e severa. E i capelli di tutti loro erano candidi come la neve.
- Infanti.- sussurrò incredula.
Con attenzione si fermò nel parcheggio vuoto di un minimarket e uscì dall'auto.
Ringraziò di essere stata sufficientemente previdente da stamparsi un piccola mappa del posto in modo da non dover chiedere indicazioni, il clima era già abbastanza ostile.
Si avviò per la strada a passo spedito cercando di ignorare gli sguardi gelidi degli abitanti.
L'aria del paesino era fredda e buona, profumava di erba, pane e fiori, niente smog né fogne aperte, solo odori genuini e semplici. È il rumore poi: niente urla sguaiate o rombo dei motori, niente clacson o televisioni a tutto volume. Capiva bene perché quelle persone avessero scelto di vivere lì.
D'un tratto un uomo le si parò davanti.
Lei sollevò lo sguardo per poterlo vedere in faccia, visto che tipo era alto almeno un metro e novanta e aveva due spalle larghe come un armadio a due ante.
Se ne stava lì, in mezzo alla strada, davanti a quella ragazzina, con le mani sui fianchi e un'espressione truce in volto.
Non sei la benvenuta qui.- disse gelido.
Annabeth sospirò.
È un peccato, cercherò di sopravvivere.- rispose, cercando di aggirare lo sconosciuto e proseguire per la sua strada.
Lui le bloccò nuovamente il cammino.
Forse non hai capito.- continuò - Ti sto dando la possibilità di girare i tacchi e andartene prima di finire in qualche guaio.-
La ragazza sbuffò: stava perdendo la pazienza, non aveva tutta la giornata e soprattutto non sopportava le minacce.
- Lo dirò una volta sola.- cominciò, cercando di fare appello a tutta la sua pazienza - Ho una commissione da sbrigare e lo farò con o senza la vostra approvazione. Dal momento che non sto facendo nulla che vada contro al legge o all'etica comune, riterrò qualsiasi azione futura di rallentarmi o fermarmi un pericolo per la mia persona e agirò di conseguenza. Detto ciò, io ho fatto il mio dandovi questo avvertimento, fatene l'uso che preferite.-
Durante il breve discorso l'uomo era diventato sempre più rosso in viso per la rabbia e, nel momento in cui Annabeth terminò di parlare, senza tenere minimamente di conto ciò che gli era stato detto, l'afferrò per un braccio con irruenza.
- Piccola imperti...-    
Annabeth non gli diede nemmeno il tempo di terminare la frase.
Con il braccio libero gli afferrò il polso e glie lo spezzo con un colpo secco, poi, facendo leva sull'arto dell'uomo, si portò alle sue spalle in un balzo e gli piegò il gomito dietro la schiena fratturandolo e al contempo slogandogli la spalla.
Lui vomitò una serie di rantoli e imprecazioni mentre si accasciava a terra in ginocchio, la guancia schiacciata contro il terreno.
La ragazza si chinò su di lui con elegante lentezza, lasciando che la cascata di morbidi riccioli rossi scivolasse lungo il suo collo affusolato. Avvicinò le labbra all'orecchio dell'uomo e parlò con voce soave e tranquilla.
- Non azzardarti mai più a toccarmi.-
Gli lasciò andare il braccio e si rialzò sotto lo sguardo incredulo dei cittadini che si erano fermati per osservare la scena a debita distanza.
- Sarebbe bastata un po' di cortesia o anche di discreta indifferenza e non avreste fatto questa brutta figura.- disse rivolta al suo mugolante aggressore - Ora, on permesso...-
Riprese la sua strada ignorando sia le imprecazioni dell'uomo che le occhiate ostili dei passanti.
Non sapeva cosa era successo in quella città, né aveva chiaro cosa rappresentasse per loro in quel momento, ma non tollerava la maleducazione e odiava essere toccata dagli estranei, fosse anche solo una pacca sulla spalla.
Piazza dei Caduti si aprì davanti a lei all'improvviso: era una piccola area circolare con un paio di vecchie ed eleganti panchine in ferro battuto, qualche aiuola fiorita, castagni tutt'attorno è una bella fontana al centro. Il numero 6 corrispondeva a un negozietto dalla parte opposta rispetto a quella in cui lei si trovava, così si avviò lungo il piazzale di ciottoli bianchi.
Si chiese perché lo stesse facendo. Quando le veniva chiesto accampava sempre qualche spiegazione banale che aveva a che fare con cose che aveva visto, cambiamenti che il tempo aveva apportato nella sua persona, la sua indole protettiva nei confronti di Vince...ma la verità era che non lo sapeva neanche lei. Aveva vissuto a lungo nell'ignoranza, non voleva sapere, non ne sentiva la necessità, poi, quando era tornata, qualcosa era cambiato. Non sapeva dire cosa fosse stato, ma si ricordava un momento, sul treno, mentre guardava fuori dal finestrino il paesaggio che scorreva veloce in una luce limpida e brillante e per la prima volta si era chiesta perché. E aveva pianto, a lungo e senza vergogna mentre le persone intorno a lei passavano senza curarsi delle sue lacrime e del suo dolore, come se fosse solo una cosa buttata lì e che non valeva nemmeno la pena di un tenero sguardo. Vince però era diverso: lui di certo si sarebbe fermato.
Si ritrovò davanti alla porta.
Non aveva idea di cosa c'entrasse la ricerca di Lady Astrid con le risposte che lei stava cercando, ma si fidava di Beatrix, sapeva che a volte aveva idee contorte, ma alla fine riusciva sempre a centrare il bersaglio.
Prese un profondo respiro e suonò al campanello.
Silenzio.
Passarono diversi secondi prima che una bambina dai candidi capelli bianchi si affacciasse al balcone.
- Il negozio è chiuso.- disse sporgendosi dalla ringhiera.
- Non sono qui per comprare qualcosa. Cerco una persona.-
La bimba aggrottò le sopracciglia.
- E chi cerca?- chiese.
- Iris Johnson.- rispose l'altra col naso per aria.
- E perché la cerca?-
- Sto cercando lady Astrid.-
Silenzio.
La bambina la fissò per qualche secondo mordicchiandosi l'interno del labbro, poi rientrò all'interno.
Per un attimo Annabeth pensò che le avesse chiuso la porta in faccia e invece il rumore metallico dell'apriporta, che fece scattare la serratura del negozio, fugò quel dubbio.
La ragazza entrò all'interno del locale, accolta dagli occhi di vetro di una cinquantina di bambole di porcellana. Costeggiò guardinga il bancone e si portò sul retrobottega, dove trovò la scala per salire al piano di sopra.
La bambina dai capelli bianchi l'aspettava sulla soglia dell'appartamento.
- Io sono Iris Johnson.- disse impassibile - Con chi ho il piacere di parlare?-
Iris Johnson era dunque un'Infante: questo era del tutto inaspettato.
- Annabeth Roth.- rispose lei.
L'altra le fece cenno di accomodarsi nel salotto.
La ragazza si sedette su una poltrona in tessuto e la bimba prese posto davanti a lei sul divano.
- Non è consigliabile usare quel nome, nello specifico qui, soprattutto dopo aver rotto un braccio a un cittadino in mezzo alla strada.-
- I Roth sono sempre stati solidali con gli indipendenti.- rispose lei.
L'altra fissò i suoi occhi rossi in quelli della donna.
- È vero, ma i Roth sono tutti morti e questo non è un luogo sicuro per i Comunitari, molte spie della Guardia si infiltrano per poter denunciare chi è sospettato di tradimento.-
Annabeth si morse la lingua sforzandosi di non perdere la pazienza.
- Nessuno condannerebbe un Roth.- rispose - Ma non sono qui per parlare di questo.-
Iris annuì.
- Sei qui perché vuoi sapere dove trovare lady Astrid.- disse lentamente - Credo tu capisca che mi stai chiedendo un favore e che quindi dovrai essere paziente e rispondere alle mie domande.-
- Sì.- rispose la ragazza, ricordandosi perché odiava interagire con le persone.
- Bene.- commentò la bambina - Quindi iniziamo dal principio e sforzati di essere sincera: perché vuoi sapere dove si trova lady Astrid?-
Lei scrollò le spalle.
- Non ne ho idea, non sono io che la voglio trovare, ma una persona con la quale collaboro. Io sto solo cercando delle risposte e sempre questa persona sostiene di poterle trovare in questo modo.-
La bambina si lasciò sfuggire una mezza risata che suonò più come uno sfogo isterico che come espressione di divertimento.
- La persona con la quale collabori penso che non abbia chiaro il quadro generale.- disse - Ciononostante capisco cosa intendi, l'unico problema è che probabilmente non troverete le risposte che cercate, a prescindere che quello che troverete possa piacervi o meno.-
Annabeth aggrottò le sopracciglia.
- Non credo di capire.- disse.
Iris sospirò.
- Lo vedi con i tuoi occhi, sono un'Infante. Lady Astrid mi ha trasformata che avevo sette anni. Era il 1799. I vincoli che si creano tra un Maestro e un'Infante sono diversi rispetto a quelli con un normale Cucciolo.-
Infanti, bambini che non avrebbero mai ottenuto un corpo da adulti, mentre la loro mente si sviluppava normalmente. Non aveva mai saputo dire se fosse un dono o una condanna, ma nella Comunità trasformare un individuo che non avesse superato la pubertà non era visto di buon occhio e si poteva ricorrere in pene severe, se non si adduceva una valida motivazione.
- Continuo a non capire.- disse Annabeth.
La bambina le lanciò uno sguardo che lei non riuscì ad interpretare.
- Io sì: non sei tu a muovere i fili.- arricciò le labbra pensierosa - Qui sono molti gli Infanti, come avrai visto, e tutti noi abbiamo qualcosa in comune: l'orfanotrofio Santa Agnese, è stato distrutto da un incendio nel 1903.-
La ragazza continuava a non afferrare il senso delle sue parole: quelle frasi alle sue orecchie suonavano sconnesse e insensate.
- Perché mi stai dicendo questo?- domandò.
Negli occhi di Iris passò un'ombra di amara tristezza.
- Sei più vecchia di me, ma sei molto giovane a mio confronto; quello che ti sto dicendo ha un'importanza relativa, ma ne ha di più quello che non sto dicendo e il motivo per cui non lo posso dire.-
- Sarebbe?-
- Vincoli di sangue.-
Quella frase. Quelle tre parole. Non era la prima volta che la sentiva, l'aveva detta Beatrix quella fatidica notte, quando aveva trasformato Vince.
- Continuo a non afferrare il senso, ma la verità è che non hai ancora risposta alla mia domanda.-
La bambina annuì.
- Sì, è vero. Tu vuoi sapere dove trovare lady Astrid e io ti risponderò: a circa trecentocinquanta chilometri a nord-est da qui c'è un vasto terreno apparentemente abbandonato e di questo terreno fa parte anche un piccolo bosco. Al centro esatto del bosco c'è una casa che dall'esterno pare diroccata, ma all'interno i locali sono stati restaurati. Lì risiede lady Astrid con moli miei fratelli.-
- Infanti?-
- Esatto.-
La ragazza rimase interdetta: cosa ci faceva lady Astrid con un branco di Infanti?
- Per quale motivo lady Astrid ha con sé degli Infanti?-
Iris si alzò e camminò lentamente verso la finestra dandole le spalle.
- Sai perché stiamo tutti qui? Perché non siamo autosufficienti se presi singolarmente, non siamo abbastanza forti per cavarcela nel mondo. I Trasformati ci aiutano, non ci sono Patriarchi qui, solo gente che si aiuta a vicenda. Capirai la nostra diffidenza verso i forestieri.- sospirò stanca - Non siamo normali, non siamo accettati, il nostro modo di pensare, di parlare di desiderare è uguale a quello di qualsiasi adulto, ma il nostro corpo rimane quello di un bambino, non cresceremo mai e non potremo mai avere affetti adulti, se non tra nostri simili.-
Si voltò verso di lei.
- La nostra vita è una condanna, è questa la risposta.- continuò - Il nostro sangue è maledetto e la nostra stirpe un'infame aberrazione. A volte mi domando se non sarebbe stato meglio morire e basta quella dannata mattina di agosto.-
Annabeth la fissò a lungo.
- Mi spiace.- disse infine.
La bambina si voltò a guardarla.
- Non è vero, neanche mi conosci. Probabilmente vorresti andartene, ma temi di essere scortese; lo saprei con certezza se non riuscissi a schermarti così bene.-
- Ho un'amica molto fastidiosa. Ma è anche grazie a lei se i bei discorsi non mi incantano: hai nuovamente evitato la mia domanda.- rispose l'altra.
Iris torno a sedersi sul divano.
- Sì e no, ma temo tu non abbia i mezzi per capire.- disse con un sospiro - Voglio farti una domanda prima che tu te ne vada.- aggiunse - Perché lady Astrid è stata cacciata dalla comunità?-
Quella domanda la colse di sorpresa: si immaginava che fosse a conoscenza dei fatti visto che era stata un suo Cucciolo.
- Non è stata cacciata, si è allontanata volontariamente a causa di voci sul suo conto, che insinuavano che complottasse con gli indipendenti per sovvertire l'ordine sociale. Si diceva stesse appoggiando un fronte estremista per i diritti dei Trasformati.-
La bambina annuì impassibile, con un'espressione vagamente assente sul volto.
- Tipico da parte sua.- commentò, poi sollevò la testa di scatto - Ora credo tu debba andare, si sta facendo tardi e io ho delle cose fare.-
- già, anche io.- rispose Annabeth alzandosi.
L'altra l'accompagnò fino alle scale e sul momento di salutarla le lanciò un'occhiata severa.
- Cerca di non spezzare le ossa a nessun altro abitante del posto mentre te ne vai. Posso assicurarti che hanno capito che devono lasciarti in pace.-
- Farò il possibile.- rispose la ragazza e si avviò lungo la stretta scala chiocciola.

Il campanello suonò con un trillo acuto facendo sobbalzare Vincent.
Non si era ancora abituato a quel rumore e tutte le volte si sentiva salire il cuore in gola.
Posò il libro sul divano, divincolandosi dal gruppo di gatti che si era ammucchiata intorno a lui alla ricerca di un'efficace fonte di calore in quel freddo pomeriggio autunnale. A passo svelto si diresse verso la porta domandandosi chi potesse essere; Anna non dimenticava mai le chiavi.
Tolse il paletto che aveva messo per precauzione dopo che un paio di notti prima nell'appartamento al piano inferiore erano entrati i ladri e girò la chiave nella serratura.
- Salve.- esordì l'uomo con voce suadente - Lady Annabeth è in casa?-

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