sabato 18 ottobre 2014

Capitolo 13 - Progetti

L'acqua scrosciava dal cielo in un impeto furioso. Il rumore assordante della pioggia copriva qualsiasi suono attorno a lei rendendole più difficile la fuga. Era come un muro compatto e instancabile che si abbatteva sulla ragazza senza darle tregua, impregnandole i vesti fino alla nuda pelle e poi ancora dentro, fino alle ossa.
La luce di un lampo per un istante squarciò l'innaturale oscurità portata dalle pesanti nubi nere e da quella spessa cappa di pioggia martellante.
Margie scivolò sul cemento bagnato e sbatté la spalla contro il container di metallo proprio nel momento in cui il rombo del tuono mandava in frantumi la grigia aria attorno a lei.
Le gambe le facevano così male che a stento riuscivano ancora a sorreggerla, ma non si fermò neanche il tempo di riprender fiato, non se lo poteva permettere.
Da qualche parte alle sue spalle percepì il suono di parole spezzate, troppo lontano e troppo attutite perché potesse coglierne il senso. Accelerò.

L'aria le bruciava in gola, le raschiava la trachea e le graffiava i polmoni comprimendo il suo torace in una morsa d'acciaio, ma non poteva fermarsi. Sentì le lacrime scorrerle lungo le guance, ma la pioggia le lavò via così in fretta che si chiese se non se lo fosse solo immaginato.
Poi sentì lo strattone: qualcuno l'afferrò per lo zaino e la trascinò tra due container. Avrebbe gridato, ma il suo assalitore fu abbastanza rapido da metterle una mano sulla bocca.
- Tranquilla, sono io, sono io, non gridare.- sussurrò l'uomo lasciandola lentamente andare.
La ragazza d'istinto lo abbracciò.
- Daniel, non riuscivo a trovarti, ero così spaventata...-
- Lo so.- sussurrò lui accarezzandole i capelli - Ma andrà tutto bene, te lo prometto, ti metterò in salvo.-
Gli occhi verdi della ragazza si specchiarono in quelli castani dell'uomo, segnati dallo scorrere del tempo.
- Mi metterai in salvo? E tu?-
Lui le scostò una ciocca di capelli bagnati dal viso e le posò una mano sulla spalla.
- Guardami dritto negli occhi: ti ho mai mentito?-
- No.-
- Pensi ti mentirei mai?-
- No.-
- Allora ascolta. Loro sono vicini. Quando te lo dirò dovrai correre il più velocemente possibile, non devi fermarti neanche per guardare indietro, corri e basta, come se fosse l'unica cosa importante. Arriva alla stazione e prendi il primo treno, non importa la direzione. Scendi alla seconda stazione e prendi di nuovo il primo treno in partenza: se va nella giusta direzione rimani su quello, se va in quella sbagliata scendi alla seconda stazione e prendi in treno giusto. Hai capito?-
Da sotto il cappuccio della cerata gialla la ragazza annuì lentamente, gli occhi pieni di paura e il labbro inferiore tra i denti.
- Io li tratterrò e poi verrò a cercarti.- continuò lui - Se tu rimanessi non potrei proteggerti e saresti d'intralcio alla mia fuga, lo capisci?-
Lei annuì di nuovo.
Solo allora lui le sorrise con tenerezza.
- Vieni qui.- disse.
L'abbracciò forte accarezzandole piano la testa.
- Non aver paura.- le sussurrò - Sai dove andare e io ti ritroverò, te lo prometto, fosse l'ultima cosa che faccio ti troverò.-
Si chinò lentamente su di lei e la baciò sulla fronte.
- Sii forte, ricorda cosa ti ho insegnato e non arrenderti, ok?-
- Ok.-
- Brava bimba.-
Da non molto lontano arrivò un schianto sordo, come qualcosa di grosso che cozzava contro le lamiere.
- Vai, adesso.-
Margie obbedì senza esitare.
Corse sotto la pioggia più veloce che poteva senza osare guardarsi alle spalle.
Il cielo nero sopra di lei si squarciò della luce di un lampo e rigurgito il suo dolore nel boato fragoroso di un tuono che fece tremare la terra. Poi il muro di pioggia torno a coprire persino il suono dei suoi pensieri.

Il trillo del telefono fece chinare la testa ad Annabeth.
Scorse col dito lo schermo del cellulare e aprì la casella dei messaggi. Un sorriso fece capolino sulle sue labbra: Vince le aveva mandato la foto di un dei gattini tutto infarinato.
Mise in blocco il telefono e lo ripose nella borsa.
I micetti avevano ormai due settimane e avevano cominciato ad andare un po' a giro per la casa, ovviamente sotto lo sguardo attento di Juno. Vince e Annabeth avevano perso intere giornate dietro quelle adorabili palle di pelo, a coccolarli, a giocarci, a dar da mangiare al piccolo maschietto quando le tre femminuccie, appena più grandicelle come dimensioni, lo scacciavano dalla mamma durante i pasti.
Era stato bello. Era da molti anni, per non dire secoli, che la ragazza non passava tanto tempo con un altro essere umano e si era dimenticata quanto potesse essere piacevole. I gatti le tenevano buona compagnia, era vero, ma erano pur sempre gatti anche se resi un po' più intelligenti dal campo psichico; non avevano interessi e hobby, non avevano gusti particolari o articolati pensieri propri e non era curiosi, intellettualmente parlando.
Ma non era solo quello: Vince aveva qualcosa in più rispetto agli altri, qualcosa che ai suoi occhi lo rendeva unico e speciale. All'inizio la sua era stata solo un'impressione, suscitata dalla spensierata semplicità del ragazzo che lo spingeva a vivere la sua breve vita con altruistico ottimismo, mentre ora vedeva di più dentro di lui; riconosceva in quel giovane il coraggio di continuare ad avere fiducia nel mondo nonostante tutto quello che gli era capitato e questo era ciò che a lei mancava: gli avvenimenti l'avevano travolta e calpestata e lei non era riuscita a riprendersi, era rimasta rotta, sporca e incapace di reagire.
Si passò le dita fra i capelli e guardò il paesaggio cittadino scorrere oltre il finestrino dell'autobus.
Avrebbe voluto chiedergli della sua vita, del dolore che era riuscito a superare e seppellire, ma non ne aveva il coraggio; avrebbe significato parlare di sentimenti, emozioni e lei non era brava con quel genere di cose. La sua esperienza le aveva insegnato a nascondere qualsiasi tipo di sentimento e, se proprio teneva a qualcuno o qualcosa, aveva imparato a dimostrarlo nei fatti, non a parole.
L'autobus rallentò e si fermò cigolando.
Annabeth si alzò prendendo la borsa dal sedile e uscì dalle porte a soffietto atterrando sul marciapiede con un piccolo saltello.
Rimase qualche secondo a fissare il grande cancello in ferro battuto davanti a lei; non riusciva a capacitarsi di come facesse Beatrix a scovare sempre delle nuove oasi verdi all'interno della città, lei a malapena riusciva a trovare un posto decente dove mangiare in cui i dipendenti non le facessero saltare i nervi.
Si avviò lungo la stradina di ghiaia; attorno a lei sulla soffice erba verde gruppetti di bambini urlanti accompagnati dalle loro stanche madri si arrampicavano sulle giostre e si rotolavano sul prato giocando rumorosamente tra di loro.
Beatrix stava leggendo seduta su una panchina sotto un grande salice piangente: era tornata ad indossare i suoi consueti abiti e così presa nelle parole tracciate con l'inchiostro sulle pagine bianche del libro sembrava il soggetto perfetto per un quadro d'altri tempi.
- Guten Tag, Frau Beatrix.- la salutò Annabeth in tedesco.
- Buon giorno, lady Annabeth.- le rispose l'altra in inglese - Sono piacevolmente colpita nel constatare che hai ancora un'ottima pronuncia.-  
La fanciulla chiuse il libro e lo posò sulle ginocchia, mentre la sua interlocutrice si sedeva accanto a lei e posava la borsa al suo fianco.
- Ci hai messo un po' a farti viva.- commentò la ragazza.
- Purtroppo la prudenza non è mai troppa, soprattutto di questi tempo. Non so se hai saputo dei due trasformati che sono stati giustiziati la scorsa settimana, con delle motivazione ridicole.-
- Ne ho sentito parlare.- rispose Annabeth - Credo di non capire più questo mondo.-
- Penso piuttosto che tu non l'abbia mai capito, mia cara. Non sta accadendo nulla di nuovo.-
La ragazza la fissò interdetta.
- Cosa vorresti dire?-
- Faccio congetture.- rispose Beatrix - Ma ancora è troppo presto per poterle condividere. Quindi torniamo a noi e a ciò che di concreto abbiamo nelle nostre mani: hai incontrato Ronald Morris...-
Annabeth annuì.
- È così. Purtroppo non ha saputo dirmi dove poter trovare lady Astrid, ma mi ha dato il nome di qualcuno che potrebbe aiutarci.-
Passò alla fanciulla il foglio di carta che l'uomo le aveva scritto.
- Iris Johnson. Piazza dei caduti numero 6, Peachtown.- lesse ad alta voce - Peachtown...mi dice qualcosa, ma non riesco a ricordare cosa.-
- Mi sono informata: è un porto franco, vi vivono solo Vampiri che appartengono alla resistenza.-
Beatrix fissò il foglio di carta pensierosa.
- Questo lo so.- disse piano - Ma c'era qualcos'altro...- sospirò - Dovrò controllare una volta a casa, continuare a pensarci mi confonderà solo ulteriormente le idee.-
Restituì l'appunto alla ragazza.
- Puoi occupartene tu?- le chiese.
- Non vedo alternativa visto che tu non hai la patente.-
- Ti sbagli, ce l'ho, ma non guido perché mi fermano in continuazione chiedendomi se ho l'età per portare la macchina.- rispose lei.
Annabeth soffocò una risata; non stentava a credere alla veridicità di quelle parole, neanche lei avrebbe creduto, al posto di un poliziotto, che avesse già compiuto sedici anni.
- Annabeth, tu capisci che stiamo percorrendo una strada rischiosa, vero?- domandò d'un tratto Beatrix facendosi seria.
- Non sono una bambina, so quello che faccio.- rispose lei cercando di nascondere di essere infastidita dalla domanda.
- Lo so, ma credo tu non ti renda conto di quello che potresti perdere. Fino a poco tempo fa non avevi nulla, ma ora hai Vincent e lui è più importante per te di quanto non ammetteresti.-
La ragazza accavallò le gambe e si passò le dita tra i capelli ricci.
I suoi occhi corsero ai bambini Sapiens che giocavano sul prato ignari di quanto difficile e complicato fosse il mondo intorno a loro; poi pensò alle loro madri e si chiese se per loro non fosse addirittura peggio poiché credevano di sapere quali fossero i problemi e i pericoli quando invece non lo potevano neanche immaginare.
Per un momento provò quasi pena per loro, ma d'altro canto ognuno aveva il proprio ruolo nella catena alimentare e loro erano già troppo fortunati a trovarsi a un passo dal gradino più alto.
Se per te va bene preferirei non parlarne.- disse.
Come vuoi.- Beatrix si alzò in piedi - Dimmi solo una cosa: perché ti sei lasciata convincere? E non rifilarmi quella cazzata sui cambiamenti, voglio la verità.-
Annabeth la guardo un po' sorpresa, non era un linguaggio che usava di solito.
- Non era una cazzata, Beatrix, ho davvero deciso di fare dei cambiamenti. In trecento anni non sono riuscita ad andare avanti con la mia vita e ho deciso che qualcosa doveva cambiare...Vincent ha solo accelerato le cose.-
- E...-
I loro occhi si incrociarono per qualche secondo prima che la ragazza distogliesse lo sguardo.
- Ho visto delle cose durante i miei viaggi, cose alle quali non volevo credere a altre contro le quali i miei avi si sono sempre schierati e per le quali sono morti. Mentre io mi sono lasciata inghiottire da me stessa e non sono stata capace di combinare nulla di buono.-
L'altra sospirò.
- Se guardi troppo a lungo nell'abisso, l'abisso ti guarda dentro.-
- Nietzsche.-
- Stai migliorando, ottimo.- Beatrix sorrise - Ora devo andare, mio fratello mi vuole a casa per pranzo, sta sperimentando cose nuove e ha bisogno di un pubblico.-
Annabeth si alzò e prese la borsa.
- Mi faccio viva appena ho qualche novità.-
- Non aspetto altro.- rispose l'altra con un sorriso - Ah, a proposito, mi sono prese la libertà di informare Vincent che la prossima settima sarà il tuo compleanno.-
La ragazza si lasciò sfuggire una smorfia: quello era un colpo basso.

Vincent grattò le orecchie di Juno.
Era tutto il pomeriggio che se ne stava accoccolata sul divano con la testa sul suo ginocchio mentre i gattini le giravano attorno facendo la pasta sul soffice divano. Da quando erano nati i piccoli, infatti la gatta aveva preso l'abitudine di passare le giornate il più vicino possibile all'umano che girava per l'appartamento. Questo non era un grosso problema quando c'era Anna, ma quando lei mancava le cose si complicavano perché Sequana, gelosa del suo nuovo padroncino, gli si piazzava in braccio fino a quando la padrona di casa non rientrava e Juno rivolgeva a lei le sue attenzioni.
Così in quell'ingombrante situazione Vincent cercava di leggere il suo libro mentre la televisione parlava in sottofondo proiettando immagini colorate. In realtà non aveva la minima idea di cosa stessero trasmettendo, ma siccome il telecomando era sul tavolinetto di vetro, troppo lontano per essere recuperato senza essere rimproverato dai due felini, quando il documentario che stava guardando era finito, aveva lasciato che il programma gli facesse compagnia fino al rientro Anna; in fondo, una volta immerso nella lettura, a mala pena si era accorto che il televisore era acceso.
Era un libro di antropologia che la ragazza gli aveva prestato perché imparasse qualcosa su quello che ora era il suo mondo. Lui da parte sua non si era affatto lamentato, gli piacevano quel genere di letture, anche se a piccole dosi, trovava affascinante la storia e le tradizioni dei diversi popoli e la loro evoluzione nel tempo.
La serratura della porta d'ingresso scatto annunciando il rientro della sua maestra. Juno sollevò prontamente la testa, mentre Sequana si acciambellava più comodamente sulle gambe di Vincent tutta soddisfatta.
- Ho preso il pranzo.- annunciò la ragazza entrando in salotto e sedendosi sul bracciolo del divano - Cosa guardi?-
Lui chiuse il libro e fissò lo schermo: c'era una sorta di isola tropicale e due tizi vestiti di foglie che stavano aprendo delle noci di cocco con un machete.
- Ci credi se ti dico che non ne ho la minima idea?- rispose perplesso.
Anna pescò una crocchetta di patate da un sacchetto di carta e poi porse quest'ultimo a Vince.
- Ma lo fanno di loro spontanea volontà?-
Il ragazzo si infilò una crocchetta in bocca e prese il telecomando per vedere il titolo del programma.
- Sì, è tipo una sfida di sopravvivenza. Che poi secondo me è un po' un pasticcio, ma lasciamo stare...-
Lei annuì con approvazione.
- Più che un pasticcio.- si voltò verso di lui - Pranzo?-
- Pranzo.-
Il giovane poggiò Sequana sul divano e seguì Anna in cucina, mentre la gattina li seguiva curiosa insieme a un numero crescente di felini: era impossibile mangiare in pace in quella casa.
- Ho visto Beatrix.- disse lei aprendo il sacchetto di pollo fritto - Domani dovrò stare via per più di metà giornata.-
- Un'altra misteriosa commissione?- chiese Vincent sedendosi sullo sgabello.
- Così pare e devo occuparmene io. Beatrix non guida e il posto in cui devo andare è fuori città.-
- Capisco.-
Il ragazzo ingoiò un boccone di pollo fritto.
- Beatrix mi ha detto che il tre è il tuo compleanno.- aggiunse attento a fingersi noncurante mentre sbirciava la reazione di lei.
La ragazza sollevò lo sguardo dal suo pasto.
- Lo so, sto pensando a come vendicarmi.- rispose.
Lui rise.
- Cos'è, dopo i quaranta niente più compleanni?- domandò divertito.
Lei sorrise appena.
- Trovo che non ci sia nulla di così straordinario nel nascere, è solo il giorno in cui iniziamo a morire.- rispose scrollando le spalle.
- Alla faccia dell'ottimismo.- commentò lui - Comunque sappi che ti organizzerò qualcosa.-
- Lo immaginavo.- sospirò lei rassegnata.
Vincent finì la sua porzione di pollo fritto.
- A proposito, che facciamo per Halloween? È dopodomani, mi devo preparare se i Vampiri hanno usanze particolari.-
Anna prese le carte vuote del pranzo e le buttò nella pattumiera.
- È meglio non fare nulla e restare in casa. Alcuni tra i Vampiri tendono ad esagerare la notte di Halloween, a fare delle cavolate e voglio evitare che tu ci vada si mezzo. Credimi, non è un modo per persuaderti, può essere pericoloso.-
Guardandola in faccia il ragazzo non ebbe dubbi sulla sua sincerità.
- D'accordo, ti credo.- rispose un po' deluso.
Si voltò verso la sala e vide Juno trasportare ad uno ad uno i cuccioli giù dal divano.
- Parlando d'altro, hai pensato a che nome dare ai cuccioli?-
Anna si passò le dita tra i capelli.
- Ho una mezza idea, ma sono ancora piccoli, aspetterò che abbiamo almeno due mesi prima di dar loro un nome. Hanno fatto i bravi oggi?-
- Sì, e Juno comincia a far avvicinare il resto della famiglia. Sir Nicolas ha avuto addirittura l'onore di leccare il maschietto.-
La ragazza sorrise.
- È un bene, si integreranno in fretta.- si stiracchiò e andò a sedersi sul divano - Ma adesso bando alle chiacchiere. Hai letto il libro?-
Vincent si sedette accanto a lei prendendo in mano il volume e facendo scorrere le pagine fra le dita.
- Sono arrivato quasi a metà.- rispose.
- Ottimo, fammi vedere dove di preciso che ti interrogo.-
Lui la scrutò in silenzio per qualche secondo.
- È per il fatto del compleanno, vero?-
Lei sorrise perfidamente.
- Oh, cosa te lo fa pensare?-

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